Vai al contenuto

Cronache di un cimitero


Ambro

Messaggi raccomandati

  • Risposte 131
  • Creato
  • Ultima Risposta

Miglior contributo in questa discussione

Miglior contributo in questa discussione

  • 2 settimane dopo...
  • 4 settimane dopo...

Giorno tredicesimo: Settembre 1989

 

Non so perché ogni tanto ricordo questi episodi slegati nel tempo e nella memoria, forse perché in essi scorgo dei rimpianti o delle situazioni mal gestite o forse perché ho paura di ammettere che sono passati come acqua in un fiume.

In effetti, le sensazioni che si provano, quando si ha la possibilità di svuotare la mente sono molteplici e molto forti; non che il tempo manchi per riuscire a decodificarle tutte, ma forse è proprio per questo che la mente umana è tanto complessa: solo un cervello umano riuscirebbe a provare delle sensazioni che poi non riescono ad essere descritte con calma e razionalità.

Dopo aver ricordato episodio della mai vita mi rimane sempre l’amaro in bocca per ciò che fu e per ciò che non sarà mai, e allora mi affiorano alla mente le domande classiche di ogni persona che riesce a ragionare immerso in una cortina di ostinato silenzio.

Ogni volta che si compie un’azione pericolosa e questa non riesce, si passa buona parte del tempo immediata,mente successivo a chiedersi cosa ne sarebbe stato se non avessimo fatto quell’azione precisa o detto quelle parole, forse troppo sagaci. Il tutto ci appare come una moviola che viene rimontata con finali alternativi ogni volta che si arriva a rivedere il punto cruciale, quello che ha segnato l’avvenimento in maniera indelebile.

Ora rivedo la mai vita a sprazzi e poi la rivedo con il metodo della moviola; ma a differenza di chi è vivo io riesco a comprendere l’importanza di ogni singola azione sulle conclusioni e il tutto viene riunito come i pezzi di un puzzle; non ci sono puzzle che vengono giusti con pezzi messi in maniera differente…

Faceva freddo, stranamente freddo nel settembre del 1989. Io dovevo ancora finire l’università, ma mi mancava veramente poco per arrivare alla laurea. Mentre aspettavo l’agognato titolo accademico, convivevo in un appartamento in periferia con un mio amico: Leonardo, detto Specchio, perché prima di prendere una decisone ci ripensava dieci volte con la scusa di dover riflettere. Il nostro appartamento non poteva certo definirsi grande o di lusso ma rispetto a quelli di altri laureandi era decisamente meglio. Specchio aveva rinunciato alla laurea tre anni prima, ma continuava a rimanere con me perché stava cercando un lavoro semi-definitivo, qualcosa che lo attirasse tanto da resistere più di tre mesi (suo personale record); ogni volta che un nostro amico superava in maniera decente un esame si faceva festa da noi.

Fu per un esame di Luca in psicologia che ci ritrovammo la sera del 9 settembre a festeggiare nel salotto pieno di gente e birra (più birra che gente, bisogna ammetterlo); verso le 4 del mattino se ne erano andati quasi tutti ed eravamo rimasti in cinque a prendere un tè con la falsa idea che ci avrebbe alleviato il mal di testa post-birra. Rimanemmo stesi sul divano per circa due ore e poi Luca decise che il suo letto era rimasto vuoto abbastanza e si avviò verso casa…faceva freddo, stranamente freddo.

Il brutto delle feste fatte in casa è che se la casa è tua tocca a te sistemare il tutto alla fine, e così fu anche quella mattina del 10 settembre 1989; a dire la verità ci mettemmo anche poco (due ore) e rimanevano solo le tazze del te (rimaste piene per metà) quando Specchio andò in cucina ad accendere il televisore. Dopo venti secondi senti che mormorava “Oh *biip*!” e decisi che anche se sul vassoio mettevo tre tazze solamente non moriva nessuno. Quando arrivai in cucina, Specchio e gli altri rimasti erano ammutoliti, mentre il telegiornale annunciava la caduta del muro di Berlino.

Newton stando seduto sotto ad un melo capì ciò che io capii lasciando il vassoio.

La mia mente a tale notizia si dimenticò di dover gestire ben due mani ( e non sarà l’ultima volta purtroppo) e queste non sentendosi al centro dell’attenzione mollarono la presa; la forza di gravità aspettava solo quel momento e, con furia rapace, ghermì il vassoio portandolo sempre più vicino al pavimento, le tazze per qualche altro meccanismo fisico rimasero apparentemente incollate al vassoio e il tè al loro interno si rese conto di ciò che succedeva troppo tardi.

Tutto avvenne in un attimo, il vassoio a contatto con il pavimento non si sentì di gestire il contraccolpo e lo passò alle tazze che sono sempre state degli organismi fragili dalla nascita…cedettero con un chiaro rumore di chi si arrende all’evidenza, il tè all’interno si rese conto oche non era abilitato per mantenere una propria forma solida e decise che gli sarebbe bastato riempire i microscopici canyon tra le mattonelle.

Il rumore si fece sentire (era l’unico scopo a cui potesse mirare) e gli occupanti della cucina si girarono di soprassalto verso la mai posizione; io mi ero reso conto un decimo di secondo prima che si schiantasse il vassoio, ma il mio primo pensiero fu che avrei dovuto pulire io, non ci provai nemmeno ad afferrare il vassoio al volo. Stranamente rimanemmo a fissare il vassoi solo per poco tempo, subito dopo lo schianto il telegiornale annunciò: “Sicuramente questa data verrà ricordata per la caduta di un simbolo di prigionia così lampante ma, purtroppo, anche per i numero si incidenti che si sono verificati nelle ultime ore.

Leonardo, che era stato in Germania a giugno, si alzò con uno scatto dalla sedia e corse fuori così com’era…io e gli altri ci fissammo per un minuto prima di decidere che forse era meglio seguirlo per capire come mai una persona che non aveva mai fatto niente di avventato era uscita di casa in una mattina particolarmente fredda senza una spiegazione visibile.

Non so perché non associai subito la frenata a Leonardo e, sinceramente non lo farei nemmeno ora; ma qualcosa nella mia testa scattò come un allarme e inconsciamente corsi per le scale il più velocemente possibile. Uscito dal condominio non ci misi molto a rendermi conto di ciò che era successo, e, a giudicare dalle imprecazioni degli altri, nemmeno loro ci misero molto a fare due più due: Specchio era steso a terra di fronte ad un’automobile e il proprietario era sceso con la morte nel volto; quando ci vide ci venne incontro urlando le solite frasi da film, ma io non lo sentivo tutto intorno a me era congelato di colpo e nessun rumore poteva perforare quello strato di ghiaccio che bloccò la mai mente per alcuni secondi. L’incapacità di pensare uccide; e io la stavo sperimentando in prima persona, il panico fu lieto di impossessarsi della mia persona, non che opposi una particolare resistenza. Fortunatamente uno del gruppo ebbe la prontezza di chiamare l’ambulanza che arrivò in poco tempo e caricò Leonardo sul lettino per poi ripartire a sirene spiegate verso l’ospedale.

Da quel giorno andai quasi una volta alla settimana a parlargli anche se i dottori dicevano che il suo coma non era soggetto a miracoli; con lui riuscivo a rimanere in silenzio e a rimontare ogni singola moviola di azioni indesiderate ma il mio pensiero di fondo rimase sempre lo stesso: perché scappò dalla cucina e perché noi ci mettemmo così tanto a inseguirlo?Perchè una persona che controllava ogni sua singola azione prima di prendere una decisione l’unica volta che non lo aveva fatto l’aveva pagata cara?

Forse in quel freddo settembre capii che ragionare serve più di intraprendere e che forse intraprendere serve più di ragionare; apparentemente opposte queste due parole sono legate da vincoli indivisibili di vita e morte.

Nel 1999 per gravi e inspiegabili complicazioni Leonardo si spense in un letto che occupava ormai da dieci anni, la notizia mi fu schiaffata in faccia dalla realtà e non dubitai mai che quest’ultima fu assai crudele nel compiersi con perfida efficienza.

Quattro mesi dopo anche io saltai la barricata e passai dalla sua parte.

Faceva freddo…stranamente freddo.

 

Non ho nulla da dire nel veder morire

Quando una conoscenza si stacca dal nostro universo

Ci rendiamo conto che sappiamo ancora soffrire

Non ci sembra impossibile non poter invertire il suo verso

Riprendere quest’anima che dall’oscuro soffio viene ghermita

E rimetterla nel suo corpo sperando che la sua luce ritorni

E’ un desiderio che ci si porta dentro per tutta vita

Ma alla fine capiamo che sono solo desideri che occupano i giorni

Facendoci pesare meno la loro dipartita

Aspettando forse che anche la nostra venga conclusa

Riusciamo sempre a ritornare in partita

Almeno finchè non ci viene detto che questa volta è per noi che si è chiusa

Thekesis.png

Link al commento
Condividi su altri siti

  • 1 mese dopo...

Giorno Quattordicesimo: Siamo noi

 

Oh bhè…nella perdita di tempo in cui nuoto potrei mettermi a fare qualsiasi cosa, e forse la sto già facendo. Alla sera quando un’altra giornata è al termine mi vengono i brividi (strano ma vero) e non riesco a non pensare all’uomo. In fondo siamo noi…

Siamo noi che cavalchiamo nella foresta tropicale appena scoperta, siamo noi che scendiamo da cavallo facendo incontrare i nostri stivali nuovi con la polvere del posto, siamo noi che prepariamo il moschetto, che lo carichiamo, che lo puntiamo e che premiamo il grilletto; siamo noi che dall’altra parte del fucile scappiamo impauriti, che moriamo sotto i colpi di quei strumenti sconosciuti e malefici, siamo noi che perseguitiamo e siamo perseguitati, che uccidiamo e siamo uccisi, che soffriamo e facciamo soffrire.

Siamo noi che risalendo il tempo troviamo sempre il modo per sbagliare tutto nuovamente, per renderci conto di aver sbagliato…ancora.

Attraversiamo i secoli e i continenti ma rimaniamo noi quelli che si fanno dirigere da dittatori invasati, siamo noi i dittatori invasati, siamo noi che apriamo campi per uccidere noi stessi, siamo noi che facciamo la guerra per uccidere noi stessi, noi stessi…noi.

Eppure, nonostante tutto, siamo sempre noi che glorifichiamo la natura e il mondo con scritte e poemi, che componiamo musiche e danziamo sotto alle stelle.

Siamo due facce di una stessa medaglia. Il rovescio della medaglia siamo sempre noi, siamo in grado di cercare nel più piccolo per riuscire a spiegare l’immenso, di guardarci dentro per vedere se apparteniamo a qualcosa che sta fuori.

Viaggiamo nei secoli lasciando tracce, scritte, storie. Anche il più potente e invasato dei dittatori deve alzare la testa e sentirsi piccolo di fronte a ciò che abbiamo lasciato in piedi, a ciò che stiamo facendo. Ogni monumento esprime quanto noi uomini abbiamo bisogno di lasciare una traccia, un “noi c’eravamo”.

Non c’è ragione che tenga, filosofia che regga di fronte ai nostri sentimenti, siamo figli del caos pronti a crearlo per arrivare alla meta. Ci sentiamo grandi per scoprirci immensamente piccoli, essendo fortemente ancorati ai nostri errori continuiamo a ritenerci piccoli anche davanti al piccolo, non avendo il coraggio di spingerci oltre un certo punto. La nostra natura riesce a esprimere sempre l’opposto di ciò che serve, e il coraggio appare nei momenti meno opportuni per indurci a immensi disastri o piccolissimi cambiamenti che poi non servono a niente.

Difetti certo, ma difetti che ci fanno grandi. Nella scalata del tempo siamo disposti a tutto, ci mettiamo sempre in gioco, affrontiamo la liscia parete di Cronos con indubbia testardaggine rischiando tutto pur di uscirne a testa alta.

Sappiamo immolarci per amore, e odio…perché nel bene o nel male li accettiamo. Siamo noi che riusciamo a provare sensazioni così profonde da alleggerire la vita o appesantirla; ogni singolo giorno proviamo pena e gioia, amore e odio, noia e risentimento per noi stessi…impallidiamo di fronte a certe emozioni ma siamo sempre pronti a ricominciare nuovamente per riprovarle, per ritirare l’ambito premio: noi.

Testardi come sempre abbiamo sfondato i muri con la testa, e abbiamo guardato a quello successivo con l’idea di poter riprovare comunque in caso di fallimento.

Tutto questo per arrivare dove? Da nessuna parte, almeno per ora. Finchè riusciremo a rabbrividire di fronte alle grandezze del passato e a provare speranza per il futuro niente potrà fermarci.

Ma anche se gli stivali si sporcano di polvere o fango, anche se i fucili sparano un colpo o cento, anche se scappiamo o preghiamo, moriamo o viviamo; anche si riusciamo a far meraviglie tanto grandi da dover abbassare la vista perché ferita dal sole continuiamo a far parte della stessa medaglia.

Siamo noi…uomini

 

Noi avanziamo

a volte ricominciamo

La nostra grandezza sta nella nostra fragilità

Consapevoli di ciò, ci uniamo

Ci facciamo chiamare umanità

Riusciamo a stimare ciò che temiamo

Il nostro bisogno di andare oltre è una dipendenza

Ci giochiamo tutto rischiando di non arrivare al traguardo

Ma la nostra forza sta in questa imprudenza

Perché conserviamo tutto nello sguardo

Odio,amore, paura e follia ci compongono

Anche il tempo sfidiamo

Malasorte e fato a volte si oppongono

Ma proprio per questo mai indugiamo

Thekesis.png

Link al commento
Condividi su altri siti

  • 1 mese dopo...

Mi duole informarvi che la fine si avvicina, e a venti storie stiamo per giungere

 

Cronache di un cimitero quindicesimo giorno: L’inizio della fine

 

Come l’inverno lascia il posto alla primavera, anche le vecchie generazioni lasciano il posto a quelle nuove. Una volta, i popoli antichi temevano che dopo l’inverno non sarebbe tornata la primavera, che dopo l’inverno sarebbe rimasto tutto freddo e morto. Tutto freddo e tutto morto…

Come il gelo che ci prende l’animo quando ci troviamo da soli, come i brividi che corrono lungo la schiena quando pensiamo…da soli. Non a caso i pensieri più profondi vengono nel silenzio e nella paura, anzi, nella solitudine; perché solo nella solitudine siamo con qualcuno…noi.

Nel momento in cui entriamo in contatto con un altro individuo torniamo al mondo, torniamo ad essere il mondo.

Non vi ho mai detto molto di me, non vi ho mai detto il mio nome, il mio lavoro, i miei gusti; non vi ho mai fatto capire che mi rivolgevo a voi…almeno direttamente.

Ebbene, ora che sta calando il sipario, sono io che mi scopro, sono io che rivivo nel ricordarmi.

Nella vita amavo il mio lavoro, almeno è quello che i miei alunni mi facevano capire; se ami il tuo lavoro lo fai bene e se lo fai bene la gente te lo dice, a volte. Insegnavo, esattamente non so cosa, almeno non ora…non più.

Sebbene io sia morto posso ritenermi ancora toccato da questo mondo, posso ancora soffrire per i disastri e posso ancora adirarmi per le idiozie. Quando vi raccontavo le mie storie, le storie di tutti, il mondo continuava a correre eppure io rimanevo fuori dal tempo e dallo spazio. Forse non vi siete mai chiesti perché vi abbia raccontato queste storie; nella Divina Commedia i dannati chiedevano a Dante di far rivivere la loro memoria sulla terra, essi avevano paura dell’oblio, del nulla, del non-ricordo. Io non penso di averne bisogno, anche perché un giorno un giudizio verrà fatto e allora tutti si ricorderanno di ciò che va bene e dimenticheranno il resto, dimenticheranno gli altri. Tutte queste affermazioni sembrano slegate, ma d’altronde non ho altro da fare. Quando qualcosa sta per concludersi si prova la sensazione che provavano gli antichi all’arrivo dell’inverno: il bisogno di far qualcosa per evitare che il freddo duri per sempre

Ovviamente si tende a ripensare al passato e farne un riassunto, ma questo lo si fa alla fine non all’inizio della fine; ora invece mi preme informarvi del nostro piccolo mondo: il cimitero.

La prima volta che mi feci sentire faceva caldo, io riposavo in pace da 6 anni e mi annoiavo. Le persone con le quali condividevo l’attesa vi furono descritte e anche qualche sprazzo del mondo esterno. Vedeste la neve, e la Grecia, vedeste la luna d’agosto e le notti d’ottobre (direi la notte d’ottobre). Arrivai a raccontarvi fatti comuni in questo pezzetto di terra, in questo luogo tanto sacro ai vivi e tanto temuto dalle leggende di chi ora è morto. Forse nel raccontarvi ciò che vissi e ciò che feci non raccontai ciò che ero, poco male perché polvere siamo e polvere ritorneremo…sarebbe scomodo doversi accertare che da sotto il divano non si scopi via un defunto. Ora che sono passati i mesi e i giorni sapete dove sono stato cosa ho visto e quanto mi sono annoiato, ma il tempo stringe ed io non narrerò per sempre. Rimangono delle cose da dire, e in questi ultimi giorni verranno dette, ma una va detta subito. Il custode non ci vedrà mai perché abbiamo deciso di non farci sentire, sarebbe troppo fastidio nostro e troppo peso per lui. Il dottor Pastoni mi farà compagnia fino alla fine e mia moglie non si farà inumare in questo paese, non è il suo.

Il soldato della prima guerra mondiale è stato riportato nella sua zona ma lo scienziato pazzo è rimasto con noi anche se ormai non ha più nulla da dire.

Il vecchio custode e rimasto ai piani superiori, il perché non ci è dato saperlo. La cagnolina continua a scorazzare per i viottoli di questo luogo e ogni tanto sembra osservare il punto in cui mi trovo con sospetto, come se facessi tanto rumore da essere udibile anche a lei.

Il mio nome rimarrà nella nebbia come il mio volto, la mia scuola anche, il mio passato sarà presente solo a pezzi e il mio futuro non c’è. Ora è giunto il momento di lasciarci perché anche la fine va presa con la dovuta calma e perché non avrei la forza di scomparire nel nulla, non ora che le stelle tornano a brillare e a sbucare dalle nubi che fuggono altrove. Il caldo sta tornando e con esso la primavera, le nuove generazioni avanzano e noi, come i popoli antichi non possiamo che gioirne perché l’inverno ha perso ancora una volta. Ma quante volte perderà ancora senza ritirarsi?

E soprattutto, voi ricorderete?

 

La fine ha un suo inizio ovunque

Ma è una fine comunque

Ogni pezzo di storia ha sempre una conclusione

E chi ci ha vissuto in mezzo sarà ombra per le altre persone

Non chiedo di esser ricordato, non ora

Almeno finché c’è sempre un’aurora

Infatti i giorni continueranno per molto

E a sparire sarà solo il mio volto

Ma se a volte avrete il coraggio di stare da soli al buio

Altre storie saranno narrate anche se a farlo non sarò io

Thekesis.png

Link al commento
Condividi su altri siti

Mi duole informarvi che la fine si avvicina, e a venti storie stiamo per giungere

 

Cronache di un cimitero quindicesimo giorno: L’inizio della fine

 

Ma se a volte avrete il coraggio di stare da soli al buio

Altre storie saranno narrate anche se a farlo non sarò io[/i]

 

 

8) 8) 8)

 

:bang: :bang: :bang: :bang: :bang:

 

Noooooooooooooooo cavolo peccato ma come si sul dire le cose belle finiscono subito :acc: :acc: :acc:

 

Immenso Ambro

 

Alla prox :ok: :ok: :ok:

Link al commento
Condividi su altri siti

  • 1 mese dopo...

Giorno sedicesimo: Poema sfalsato

 

Alzo la testa, osservo le stelle.. Velocità, forza e silenzio. Calma, rabbia e ardore. Come l’eroe viene fuori dal caos così il pensiero più astratto si presenta alla mente solo nella confusione dei sensi e delle idee. Per generazioni gli umani sono scesi nei campi arsi dal sole o sporcati dalla pioggia per l’impatto, lo scontro. Ogni volta centinaia di vite finivano là, ogni volta l’impatto degli scudi, il tuono dei cannoni le urla della vittoria i lamenti dei sconfitti riecheggiavano per giorni ma venivano raccontati per sempre.

Alto è il sole, brilla lo scudo e aspetta la lancia. Avanza il fante, sicuro, tutto dipende dalla sua bravura, dai suoi riflessi. Se muore sarà solamente colpa sua e della sua incapacità nel tenere la vita nel petto. L’aria si riempie di polvere, gli stivali smuovono la terra e pestano i fiori. L’occhio punta l’orizzonte e vede i bagliori di altre lance, di molte lance. Batte il cuore, si secca la gola trema la mano che dovrebbe riscuotere anime d’altri.

Un passo e si vedono i vessilli nemici.

Un passo e si vedono gli stemmi sugli scudi

Un passo e si vede il nemico negli occhi

Un passo e poi si corre verso il campo di battaglia sperando di non visitare i campi elisi prima del tramonto. L’impatto tra gli scudi fa oscillare la prima fila e le lance possono saziarsi dei primi calunniati dal fato.

E così fu per molti anni a venire, con i respiri affannati della battaglia, con le spade sguainate per difendere la casa, la moglie, il figlio, la città.

Passa il tempo e si abbassa il sole, il cielo si fa grigio, soffia il vento…sarà lui a saziarsi di rochi lamenti.

Soffre il soldato, ha paura e la divisa non è sua. Era del suo commilitone, morto.

Ha paura, sa di dover essere bravo con il mortale arnese. Sa che quella polvere grigia dev’essere pronta infuocarsi prima di quella nemica. Il piombo deve correre per la canna del fucile prima che lo faccia quell’altro, quello non suo.

Il cappello è solo un simbolo, non ci sono scudi, il generale dice di avanzare.

Un passo e si ha sempre più paura

Un passo e non si vedono più gli occhi perché sono dietro al mirino del fucile

Un passo e si prega

Un passo e si spera

Un passo e si aspetta la raffica, perché i fucile in dotazione hanno il tiro corto, più di quello nemico.

Il generale a cavallo urla, inizia a piovere, piove acqua e diventa sangue. I cannoni accesi per gloria sparano e mietono dove riescono, dove passano. Si perde l’amico, cade il generale e crolla la prima fila. Ora il soldato è la prima fila e solo il piombo può portarlo altrove. Non combatte per la casa, non combatte per la moglie, ma per la patria, per l’impero, per la regina e il re.

Piove, l’acqua arresta la sua caduta sulle foglie di una foresta calda e afosa. Si è addestrato il soldato ma per costrizione, per non morire lontano da casa, perché chiamato da una cartolina che non ha avuto il coraggio di bruciare.

La schiena bagnata si appoggia all’albero e l’amico fa altrettanto poco più in la, osserva il cielo. Non si vede, la foresta non è clemente, non più.

Pesa l’elmetto, e il verde della divisa non è dei più allegri. Estrae il mitragliatore, nuovo, e se Dio non guarda rimarrà tale. Nessuno si può saziare, solo l’ingordo lontano.

Un cenno e si comincia ad avanzare nella foresta Vietnamita, un cenno e ci si acquatta per la sfida e l’ignoto.

Un passo e l’albero diviene un vuoto rifugio

Un passo e la foresta si azzittisce

Un passo e il silenzio fa pensare, fa ricordare, acuisce la nostalgia

Un passo e l’umidità penetra nelle ossa

Un passo e si prepara il fucile

Un passo e si pesta il rametto

Un rumore ed è l’inferno

Crollano i soldatini, ma non c’è plastica. Sparano i nemici e non si fanno vedere, corre tra le foglie la morte ed è l’unica che tiene la testa alta. Si muore con cos’ poco. Cadono i commilitoni, cade l’amico, cade il soldato colpito dal piombo, non suo; il suo è ancora in un fucile nuovo, mai usato e rimarrà tale.

Non combatteva per la moglie, non di certo per la città o la casa, nemmeno per la patria. Combatteva perché glielo aveva ordinato una cartolina, perché l’ideale di un mondo diviso non doveva assumerne il controllo. Perché i nemici se non ci sono vanno cercati, perché il denaro è l’unico sovrano e la paura l’unica aiutante.

Torna il sole, brucia. Torna il vento, secca. La sabbia asciuga gli occhi e toglie il respiro. Il deserto vuole il suo tributo e il soldato spera di non farne parte. E’ la volontario, la sua mente offuscata da idee basate sul terrore. Cammina nella città masticando la gomma americana, porta l’emblema americano, usa armi americane…come il nemico.

Gioca in trasferta, non prega. Non va di moda e non è cool. Canticchia, il soldato, suda e cammina

Un passo e la sabbia viene smossa

Un passo e i sui compagni si scambiano sguardi carichi di qualcosa, qualsiasi cosa pur di dimostrare il completo possesso della vita

Un passo e incombono i dubbi

Un passo e il nemico si affaccia alla fine della strada

Un passo e il nemico si avvicina, il volto spento

Un passo ed entrambi si guardano negli occhi

La fine dei passi coincide con il boato del tritolo, dell’esplosivo. E’ la vita del nemico che esplode e cerca di portarsi dietro più mondo possibile. Non c’è piombo. Non ci saranno passi, non in quella strada, dove l’eco regnerà per secondi, forse minuti e poi tornerà il silenzio carico di niente e portatore di vite passate

Non combatteva per la moglie, non per la patria o la famiglia. Non ci sono nemmeno più le ideologie. Combatteva per l’oro nero, una vita per un barile. Scambio poco equo.

 

Un passo indietro, per favore

 

Thekesis.png

Link al commento
Condividi su altri siti

  • 1 mese dopo...

Giorno diciassettesimo

Trilogia dell'esterno, parte prima: Il sole oltre il muro

 

"Strano, non mi era mai capitato di svegliarmi così presto!"

Guarda te cosa pensa uno che si sveglia nel cuore della notte….

"Non mi era mai capitato"

In effetti svegliarsi alle 3 non è così comune tra i giovani, che vivono soli, e fanno i turni stancanti e lunghi durante l'orario di lavoro…in un cimitero. Il giorno in cui accettai di divenire custode quello precedente era appena morto (pace all'anima sua) e l'unica testimonianza di se che aveva lasciato era il suo tumulo, se l'era scavato da solo dicono. Si portò dietro anche il cane, però su questo punto rimediai prendendo in casa una cagnetta: Aeris. A proposito! Già che ci sono le preparo la scodella prima, così se faccio tardi a pranzo può mangiare anche senza di me. Dov'è che ho messo quell…ah eccoli! Bene, anzi male…sono quasi finiti dovrò andare a comperarne un'altra scatola, oggi è? Martedì si sono aperti i negozi anche nel pomeriggio…bene vado quando stacco il servizio….ahah, il servizio! Se c'è una cosa che non fa di certo chi vive ai margini di un cimitero è finire di lavorare.

Se non c'è nulla da scavare bisogna comunque evitare che qualcuno entri e faccia qualcosa che non va bene…tipo portare via un corpo…chi sa che se ne fanno poi…puah!

Eppure ero sicuro di aver preso una scatola di riserva, devo averla messa nello stanzino vicino alla cucina…no eh? Sarà in…in dove che c'ho solo quattro stanze?! Mah, e si che né ero sicuro, quasi sicuro…si ok non l'avevo presa! Forse sarebbe meglio tornare a dormire…ma non ho sonno! Uffa…latte…si latte…un bicchiere e torno a letto sbronzo…si come no!...allora il latte è nello scaffa…scaffa…non è nello scaffale…non posso aver finito anche….ques…t…forse è meglio se oggi stacco prima e vado a fare una spesa più sostanziosa visto che manca anche la pasta e il pomodoro.

Quindi? Che faccio? TV…no fanno solo porcate…forse nemmeno quelle…

Potrei leggere, si potrei finire quel mattone che mi hanno regalato a Natale, così poi lo uso per riparare il buco nel muro nel capanno in giardino…penso sia della misura giusta.

Che?...perchè c'è un biglietto nel libro….uhm…è la mia scrittura, strano.

"Ricorda ieri sera, il vento e i canti. Ricorda tutto e capirai…"

EH!? Ma…che…insomma non penso di essere tanto solo da lasciarmi i messaggi in codice…ricorda…cosa? Ricorda i canti…canti?! Chi è che cantava ieri? E poi che ho fatto ier…

 

Ora ricordo…

 

Ieri sera, avevo appena finito di lavorare e stavo rimettendo gli attrezzi e un pezzo di filo spinato (si era rotta la recinzione a sud…si insomma nel muro di là) quando sentii, non so dire che sentii; una sensazione di…come se fossi piccolo e appeso ad un tronco, e quel tronco viaggiava su un fiume enorme…senza fine ma anche senza inizio. Io viaggiavo e mi sentivo calmo, quasi rassegnato. Poi una fitta allucinante alla testa, caddi in ginocchio…immagini…milioni di immagini.

Camion di galline rovesciati, templi antichi, bombe da disinnescare, rupi da scalare, pazienti che aspettano la mia visita, lavatrici vuote, e ancora…amici a terra, in mezzo alla strada, specchi rotto, tazze rotte, sedute spiritiche, partite a carte, viaggi in bici, la luna….il dolore….il dolore…

Rinvenni non so quanto tempo dopo, non molto comunque visto il sole stava tramontando e se ne vedeva l'ultimo spicchio oltre il muro…c'era il sole oltre il muro e una domanda nell'aria…cos'è stato? Forse…non saprei…mi resi conto di essere ancora inginocchiato sul terreno davanti al capanno degli attrezzi, i badili che mi erano caduti di mano erano ancora la, quindi nessuna aggressione…e poi una botta alla testa non fa vedere le immagini, non credo almeno…insomma era come se fossi stato in molte persone, in molti vite…però non avevo l'impressione di poterle ricordare tutte, non giorno per giorno almeno.

Qualsiasi cosa fosse mi passò di mente appena mi rialzai e mi girai verso le lapidi che si stagliavano contro il tempo, in una sfida dura per entrambi. All'inizio non ci feci caso, ma poi, aguzzando la vista lo vidi, il vento…passava di tomba in tomba, come se fosse stato spinto…o guidato insomma. Vedevo il vento! Anzi no! Lo sentivo, puntava verso di me e io sentivo che era quello il suo scopo…NO! Dovevo scappare, svegliarmi almeno…solo un sogno. Il vento non si impunta verso qualcuno, non segue il corso delle tombe…nemmeno se volesse portare le parole dei mort...ed è a quel punto che capii, capii le immagini, il dolore, il tronco trasportato dall'acqua, il vento…e i canti…solo ora li sentivo, i canti!

Canti antichi quanto la terra stessa si mischiavano a sussurri trasportati nel vento, dal vento e con il vento, non ero nemmeno sicuro che quello fosse vento, a quel punto poteva essere qualsiasi cosa…

Infine mi colpi con una raffica, fu come se fossi investito da una folla urlante, voci ovunque, le storie mi entravano nella testa, le voci cantavano e parlavano, urlavano e sussurravano frasi stanche. Non so perché ma mi sedetti e ascoltai…ascoltai per delle ore quelle voci; e come se sapessero di aver attirato l'attenzione si ricomposero e incominciarono a farsi sentire una ad una, veloci e leggere mi raccontarono la loro storia, vita vissuta per lo più, ma anche speranze e attese, paure e angosce di chi in fondo non è vero che non ha nulla da perdere. Scoprii le leggende greche, le notti d'agosto e i vicoli innevati. Seppi che la gente scala le montagne senza la possibilità di sbagliare, seppi che a volte le cose fatte per scherzo si mostrano per ciò che sono: devastanti.

Tra tutte quelle storie venni a sapere dei sessanta metri, della paura di ciò che ancora dev'esser deciso, di quel fardello che è l'attesa. Passò il tempo e infine tornò il silenzio a comandare, con una sonora schioccata di frusta (il balcone sbattè violentemente) rimise tutto e tutti in riga e io tornai a casa, troppo scosso per poter dormire e desideroso di ricordare, non volevo credere alle voci secondo le quali avrei scordato tutto, dovevo ricordare per raccontare ciò che avevo sentito. Scrissi un biglietto e lo misi nel libro, sicuro che l'indomani l'avrei guardato per decidere se finirlo o meno, in fondo il capanno aveva ancora il suo buco nel muro da riparare.

 

Ecco, penso di aver preso sonno quasi subito…ero pronto a dimenticare, mi sono crogiolato nel trionfo di aver sconfitto l'oblio…e lo sto facendo ancora pronto a portare ciò che sentii all'esterno di queste mura…forse uscirò a raccontare le storie per il vento e nessun altro, ma almeno sarò sicuro di restituirle al legittimo proprietario.

Sai Aeris, mentre dormi mi vesto e mi porto avanti con il lavoro così dopo posso uscire prima e andare a fare la spesa subito, non in serata perché ho la sensazione di dovermi esporre al vento queste sera, e le prossime….si ho proprio la sensazione di essere impegnato stasera….e non solo per vedere il sole oltre il muro!

 

Abbiamo urlato per farci sentire

E' stato il vento ad aiutarci

Sapendo che non potevamo mentire

E' stato il vento a salvarci

Più leggere del polline d'estate

Le nostre voci hanno volato

Hanno detto ciò che son state

A chi poi non ha dimenticato

Ed è così che cominciò l'ascesa del cantastorie eterno

Di colui che dalla sua tomba osserva il cielo e racconta

Prima del purgatorio, paradiso o inferno

C'è la sua voce che sopra il vento monta

E così come voi raccontate le vostre vite

Noi raccontiamo le nostre morti

Perché quando le avrete finite

Sarete con noi, e sarete più forti

 

 

 

Thekesis.png

Link al commento
Condividi su altri siti

  • 1 mese dopo...

Giorno diciottesimo

Trilogia dell’esterno parte seconda: L’ultima anima

 

Quando si osserva una cosa si può fare uno strano gioco. Se per esempio si sta osservando un telefono ci si può porre la domanda: “Chissà dov’è ora la persona che l’ha imballato”

Io con la mia pala sotto il mento e lo sguardo fisso sui tumuli mi chiedo dov’è l’ultima anima, quella che segnerà l’inizio dell’apocalisse o di qualsiasi cosa ci sia ora al suo posto.

Stamattina era nuvoloso e magari è caduta anche qualche goccia d’acqua ma verso il pomeriggio si è rischiarato e per il tramonto non c’è nemmeno una nuvola nel cielo, e io sto per finire il mio lavoro…pronto a dar residenza momentanea a una delle tante anime, forse l’ultima o forse no…

In comune sembra vogliano chiudere questo cimitero e crearne uno un po’ più in periferia, un po’ più moderno…un pò più…aggiustato. Da quando c’è stato quell’incidente con l’acqua non si sono più fidati a scavare in continuazione.

Devo ancora dirlo agli altri e non so proprio come la prenderanno, sinceramente ho ipotizzato di andar in comune a chiedere, in caso di chiusura, se si può lasciare un posto per me. Fa strano pensare con tanta freddezza alla propria…ehm…dipartita? Morte…brutto…trapasso è superato…molto old. Però prima ho deciso di mettere per iscritto ciò che ho sentito quella notte e che continuo a sentire ogni tanto: storie di chi non può più raccontarle. Me lo vedo già il titolo: “i segreti del custode”…banalissimo ma efficace, si per quelle trasmissioni…è meglio lasciar perdere la pubblicazione, nessuno prenderebbe minimamente sul serio il nero sul bianco della carta. Nell’ultimo periodo non ci sono stati grandi cambiamenti, tutto è andato avanti nella sua non vita, ogni racconto è arrivato a destinazione e ogni abitante di questo luogo ha smesso di parlare per pensare al prossimo fatto, fatterello o pensiero. Io alla sera, dopo aver cenato, mi siedo sull’erba con la schiena appoggiata al muro esterno e guardo il cielo poi, quando sento le prime voci arrivare insieme al vento, abbasso lo sguardo verso terra e ascolto ciò per cui mi hanno dato questo permesso, questo dono, questa maledizione…ed ecco che cominciano le voci, gli echi ormai…

 

Ed ecco che comincio a parlare, il mio eco esce dalla terra punta al cielo e ricade pesantemente verso il prato arido. Ed ecco che urlo e aspetto, canto e guardo o ipotizzò ciò che sta oltre le mura di questa mia ultima abitazione.

Quando parlai per la prima volta ero avido di raccontare le storie, le MIE storie e lo feci per lungo tempo. Poi iniziai a parlare di altre storie, non erano più le mie ma quelle di chi, in questa scomoda situazione, può ancora parlarmi e capirmi. Il dottore per primo e poi gli altri, Franz, il soldato, la casalinga e molti altri; alcune storie rimarranno con me…ironico ma vero…nella tomba, altre le ho affidate al custode di storie e mura. Alla sera si siede e noi sussurriamo di viaggi in Grecia, di giornate nevose e amici persi. Di strani incontri per la strada e di cose molto più comuni, ma che non possiamo rivivere comunque. Poi il tempo è passato e, stanco di parlare, ho lasciato che ognuno raccontasse le sue storie, ognuno ha cominciato a parlare per se stesso. Ed ora che ho ricominciato a parlare lo faccio anche io solamente per me stesso. Non ho mai detto il mio nome, e non lo farò ora. Non ho mai detto che lavoro facevo, ed ha ancora poca importanza. Non vi ho mai mostrato il mio volto…e non penso sia necessario. Vi ho mostrato pezzi del mio passato, quelli più significati e anche quelli un po’ meno importanti…per voi. Vi ho fatto vedere come si non-vive tra queste mura. Vi ho presentato il custode e vi sto dicendo addio.

La mia voce non vi entrerà più nella testa, saranno altri a raccontare l’epilogo, non io. Però di una cosa potrete star sicuri. Quando ascolterete altre storie, le ultime forse o le prime, basterà guardare oltre la spalla del improbabile menestrello e mi vedrete là, seduto con la schiena contro il duro marmo della mia carta d’identità funebre ad ascoltare la stessa vostra storia. Troppo stanco per parlare ancora o troppo curioso per interrompere io non aprirò mai la bocca…mai più.

E quando sarete voi a volermi raccontare la vostra storia sapete dove trovarmi…

 

Devo aver preso sonno, l’erba umida e il silenzio mi devono aver appesantito le palpebre e probabilmente io non ho posto una grande resistenza. Meglio che me ne vada a letto, c’è sempre tempo per le storie. Entro nella mia umile dimora, anche se arredata da vivente la trovo assai..smorta?..si.

Mi tolgo i vestiti e la vedo, seduta al tavolo c’è una luce…posso osar nell’affermare che si è seduta perché quella luce ha una forma vagamente umana, non ha nulla di definito se non la faccia che mi osserva. Faccio per parlare ma…

“Salve, sono l’ultima anima…sei pronto ad ascoltare il mio racconto?”

 

Ed io starò nel mezzo, fisserò le due opposte fazioni

Guarderò le dantesche cornici o i tremendi gironi

 

Non avrò libera scelta fino alla fine

Quando le sentenze saranno vicine

 

Sono l’ultima anima e del futuro ne vedo i segni

Del passato ho conosciuto i suoi regni

E nel presente osservo gli uomini degni

 

I custodi dai sette corpi la mia storia scriveranno

Perché nel silenzio del dopo la narreranno

E increduli tutti la leggeranno

 

Io sono l’ultima anima e la mia storia andrò a narrare

La sentirete come sentirete la fine arrivare

I racconti degli altri potete anche scordare

Ma la mia storia vi verrà a svegliare…per farvi ricordare

Thekesis.png

Link al commento
Condividi su altri siti

  • 2 settimane dopo...

Giorno penultimo: Trilogia dell'esterno parte terza - Il racconto dell'ultima Anima

 

Salve, non posso presentarmi con un nome preciso ma voi umani me ne date moltissimi. In alcuni paesi sono conosciuta come una dea precisa e puntuale, in altri faccio paura ma in tutti ho sempre avuto un nome e quello che mi spetta ogni volta: un'anima da traghettare. Io sono la vecchia, l'oscura signora, la grande e veloce mietitrice, la morte, l'ultima spiaggia e molte altre cosè o forse dovrei dire nomi.

Ma alla fine, incredibile ma vero, anche io avrò un ultimo scopo, un ultimo compito e poi...poi tutti voi, ormai già morti, mi conoscerete nel mio ultimo aspetto e mi chiamerete con il mio ultimo nome: l'ultima Anima.

E chi se no? Chi altro poteva portare tutti gli uomini in altri mondi e rimanere a fissare la terra deserta prima dell'apocalisse? Chi altro poteva morire anche essendo già morta. Anche quando morirà l'ultimo uomo sulla terra non sarà mai l'ultimo, perché sarò io l'ultima che una volta compiuto il mio ultimo compito aspetterò di passare altrove divenendo l'ultima entità, l'ultimo respiro di vit...no diciamo di qualcosa, nel vostro mondo che da quel momento giacerà nei secoli dei secoli adagiato sul letto del fiume del tempo, di un tempo ormai fermo. Non ho molto da raccontare, ormai anche questo piccolo tour è finito e come vuole la tradizione sarò l'ultima voce anche in queste piccole cose, in questa microscopica visita nel nostro...nel MIO mondo!

Ma ora lascia che ti racconti una storia che non è mia, non del tutto almeno...ascolta custode.

Voi uomini non finirete per una grande catastrofe, non ci sono pietre spaziali sul cammino di questo mondo. Non ve ne andrete nemmeno per eventi sovrannaturali, niente cavallette e angeli della morte, nessuno lapillo, nemmeno uno cadrà dal cielo verso i vostri campi...sempre che ci siano ancora.

Voi un tempo cominciaste a camminare da soli e partiste da soli. E da soli ve ne andrete, vi estinguerete da soli, soffocati da una presunzione accecante, devastante oserei aggiungere. Non ci saranno guerre a colpi di germi e malattie, nemmeno gigantesche serre vi soffocheranno. Voi creerete un deserto e senza meta ci vagherete. Nessuno può vagare per sempre nella sabbia, e quando stanchi vi siederete a guardarvi negli occhi arrossati dal vento e dalla sabbia capirete di non potervi più rialzare, la vostra ultima gigantesca spiaggia...ma ora lasciami andare al mio lavoro custode, ti ho raccontato cose lontane nel tempo, cose che non interesseranno ne te ne i figli dei tuoi figli.

 

L'ultima Anima si alzò e si diresse verso la porta del piccolo monolocale, poco oltre la porta scomparve nella nebbiolina tipica di ogni serata autunnale ma il custode, che fino a quel momento non aveva mosso un muscolo girò la testa e per un millesimo di secondo lesse qualcosa in quegli occhi così vicini alla nebbia per opacità e consistenza, lesse qualcosa che lo calmò da un lato ma lo agitò e lo trascinò in una confusione senza pari.

Negli occhi dell'ultima anima vide la sua ultima parola e capì che sarebbe stata anche l'ultima di quella strana avventura, capì che nessuna voce sarebbe più arrivata con il vento della sera. Ciò che lo confuse fu la parola letta in quelle orbite quasi vuote, quasi inesistenti, più che una parola fu un intero discorso condensato in un'unica emozione, in una sola scarica elettrica che gli corse lungo la spina dorsale fino a farlo rabbrividire con una mano che stringeva lo stipite della posta fino a dolergli. Capì che nell'opera colossale interpretata dalla razza umana era cominciato il secondo tempo e non ci sarebbero stati dei bis.

 

Questa è la mia ultima parola

Questi sono i titoli di coda

Rimarrò io, io da sola

Nessuno mi oda

Quando lancerò l'ultimo grido

 

La falce a terrà cadrà

la veste chi voi dite nera sparirà

 

Quella sarà la mia ultima parola

Quelli saranno i titoli di coda

Solo io, io da sola

Affinché nessuno mi oda

 

Quando i miei occhi il cielo guarderanno

E per ultimi si chiuderanno

Thekesis.png

Link al commento
Condividi su altri siti

Partecipa alla conversazione

Puoi pubblicare ora e registrarti più tardi. Se hai un account, accedi ora per pubblicarlo con il tuo account.

Ospite
Rispondi a questa discussione...

×   Hai incollato il contenuto con la formattazione.   Rimuovere la formattazione

  Sono consentiti solo 75 emoticon max.

×   Il tuo collegamento è stato incorporato automaticamente.   Mostra come un collegamento

×   Il tuo contenuto precedente è stato ripristinato.   Pulisci editor

×   You cannot paste images directly. Upload or insert images from URL.


×
×
  • Crea Nuovo...