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Loro non molleranno mai...NOI NEPPURE!


Figotto

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L’arresto del boss Raccuglia

I “postini” il suo tallone d’Achille

 

I poliziotti della Squadra mobile di Palermo e dello Sco, il Servizio centrale operativo, da diverso tempo avevano messo gli occhi su quella casa in aperta campagna controllando chi entrava e chi usciva da quel luogo. E porprio questo è stato l’elemento fondamentale che ha portato alla cattura di Raccuglia. Il boss, infatti, dopo aver cambiato nascondiglio, non si è preoccupato di cambiare la rete di “postini” che con frequenza bussavano alla sua porta.

 

(fonte: http://www.livesicilia.it/2009/11/18/larre...lone-dachille/)

 

che bello vedere gli amici Siciliani festeggiare per una cosa del genere, non una partita di calcio o una festa di paesa ma l'arresto di un Boss senza scrupoli..

 

Loro non molleranno mai...NOI NEPPURE!! possiamo farcela!!!

Modificato da Master7
<<Al mondo esistono due categorie di persone: i cattivi e i molto cattivi. Noi abbiamo deciso di chiamare buoni i cattivi, e cattivi i molto cattivi. I problemi dell'umanità nascono quì.>> FRITZ LANG
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  • 1 mese dopo...
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Miglior contributo in questa discussione

Miglior contributo in questa discussione

il 2009 è stato un grande anno per la lotta all'antimafia,sono stati presi molti boss importanti,anche quello che ha ammazzato il bambino,la cupola di Cosa Nostra si sta inesorabilmente sfaldando,l'ultimo boss di grande livello che resta è Matteo Messina Denaro,ma come ha detto un importante carica qualche giorno fa al TGR Sicilia,è solo questione di tempo...

anche a Napoli e in Calabria sono stati smembrati molti clan,e questo non può che farmi piacere,nella speranza che il virus della mafia venga del tutto debellato...

http://img4.imageshack.us/img4/3271/portieri.jpg

 

"I calciatori sono tanti, il portiere è uno solo"

 

W LA RAZA!!!!!!!!!!Eddie Guerrero King Of Wrestling R.I.P.

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La speranza e la volontà di debellare la mafia deveno essere sempre irremovibili, ma non mi fido molto di tutti questi resoconti così positivi, a maggior ragione quando vengono pubblicizzati sui telegiornali e sui media. Può sembrare un pensiero ingenuo, però ogni volta che viene arrestato un personaggio "importante" nell'ambito della criminalità organizzata, è sempre un duro colpo alla mafia, che ha sempre i giorni contati... Eppure ha fatto il giro del paese l'assasinio a volto scoperto in un bar a Napoli, e non mi sembra proprio il sintomo di un'indebolimento della mafia.

A livello personale, l'impressione che ho, non è affatto quella di una criminalità organizzata in declino anzi, sempre più infiltrata e amalgamata nell'economia e nella politica di questo paese, ovviamente a discapito della reale percezione del cittadino.

Modificato da Raziel86
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io sono pazzo e ne sono cosciente, ma è chi è normale che non ha molta fantasia e nemmeno coraggio, anzi!

 

 

@figotto: era propio a quelli come te che mi riferivo, sanno e stanno zitti, si fermano alle figurine , alle vittime (con tutto il rispetto) e ci fanno bella figura sul forum, ma ricordati che quelli pericolosi sono vivi, di quelli dovresti parlare, con gli eroi ci completi solo l'album e come volevasi dimostrare hai saputo solo offenderti e non hai colto nemmeno un punto del mio discorso.

 

P.S.

io mi vergogno ogni giorno, mi vergogno di essere italiano, prova a vergognarti un pochino anche tu, magari ti stimola a fare qualcosa di utile una volta finito l'album.

bravo.

e comunque gli eroi d'italia erano e sono i partigiani!!!!(sempre siano lodati)

e l'unico che ha capito come combattere la mafia era quel maiale inutile di Musssolini peccato che sia l'unica cosa buona che abbia fatto e i partigiani hanno fatto benissimo ad ammazzarlo.

 

non trovo utili neanche i libri di Roberto Saviano (comunque meglio lui di quelli che stanno zitti e anche di me) perchè ora c'è uno che viaggia sotto scorta e la mafia è scomparsa?ha avuto dei duri colpi? non credo. e allora non è ora di cambiare?

[..] Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.[..] Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.[..] mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».[..] mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
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bravo.

e comunque gli eroi d'italia erano e sono i partigiani!!!!(sempre siano lodati)

e l'unico che ha capito come combattere la mafia era quel maiale inutile di Musssolini peccato che sia l'unica cosa buona che abbia fatto e i partigiani hanno fatto benissimo ad ammazzarlo.

 

non trovo utili neanche i libri di Roberto Saviano (comunque meglio lui di quelli che stanno zitti e anche di me) perchè ora c'è uno che viaggia sotto scorta e la mafia è scomparsa?ha avuto dei duri colpi? non credo. e allora non è ora di cambiare?

allora aldilà del fatto che i partigiani con la mafia non centrano niente, ma puoi evitare di esprimere la tua idea politica in modo volgare? e così che vengono chiusi i topic, e un bel topic come questo vorrei evitare di vederlo chiuso.

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allora aldilà del fatto che i partigiani con la mafia non centrano niente, ma puoi evitare di esprimere la tua idea politica in modo volgare? e così che vengono chiusi i topic, e un bel topic come questo vorrei evitare di vederlo chiuso.

io ho risposto a figotto che ha detto che falcone e compagnia sono gli eroi dell'italia.

non sto esprimendo il mio parere politico. prova un po' a negare che i partigiani abbiano sbagliato a uccidere mussolini

[..] Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.[..] Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.[..] mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».[..] mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
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io ho risposto a figotto che ha detto che falcone e compagnia sono gli eroi dell'italia.

non sto esprimendo il mio parere politico. prova un po' a negare che i partigiani abbiano sbagliato a uccidere mussolini

no, mai detto ciò, ma IMHO i partigiani non erano certo santi, l'italia più che altro l'hanno liberata gli americani.

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bravo.

e comunque gli eroi d'italia erano e sono i partigiani!!!!(sempre siano lodati)

e l'unico che ha capito come combattere la mafia era quel maiale inutile di Musssolini peccato che sia l'unica cosa buona che abbia fatto e i partigiani hanno fatto benissimo ad ammazzarlo.

 

Cortesemente in questo forum è vietato nel modo più assoluto parlare di politica, per il rispetto delle diverse opinioni degli utenti al fine di evitare inutili discussioni e guerre tra membri che non portano da nessuna parte.Al massimo qui si possono riportare accertati collegamenti tra mafie e politica.

 

Grazie infinite per la disponibilità.

 

non trovo utili neanche i libri di Roberto Saviano (comunque meglio lui di quelli che stanno zitti e anche di me) perchè ora c'è uno che viaggia sotto scorta e la mafia è scomparsa?ha avuto dei duri colpi? non credo. e allora non è ora di cambiare?

 

Permettimi di non essere d'accordo perchè secondo il tuo pensiero sarebbero inutili anche le gesta di Gesù Cristo o Ghandi (ovviamente nei limiti proporzionali tra i personaggi) data la perseveranza del male su questa Terra e la sottomissione di alcuni popoli.Penso invece che gente come Saviano, Don Diana, Falcone, Borsellino, Giancarlo Siani etc. siano dei personaggi costituenti un patrimonio preziosissimo per una società civile onesta e perbene che vuole debellare i mali che affliggono altri connazionali e il proprio Paese.

 

Poi certamente un libro non uccide o rende immuni dalla mafia, ma pensa da Gomorra quanto l'attenzione dell'opinione pubblica si sia concentrata sui traffici e gli affari delle mafie che prima risultavano argomeni di sconosciuta esistenza ai più.E il conseguente ostacolamento di questi fatti.La parola critica è sempre l'arma più potente perchè a mio modo di vedere combatte l'ignoranza, e là dove c'è ignoranza c'è anche omertà. egoismo, falsità, supruso e violenza, c'è la mafia.

 

io ho risposto a figotto che ha detto che falcone e compagnia sono gli eroi dell'italia.

non sto esprimendo il mio parere politico. prova un po' a negare che i partigiani abbiano sbagliato a uccidere mussolini

 

Ripeto dei decorsi storici non ce ne può fregar di meno.Nel bene o nel male ciò di cui parli è storia.Evitiamo la chiusura di un topic interessante come questo, anche se ultimamente è un pò trascurato.

 

Inoltre ti chiedo di riformulare la risposta che mi "avresti" dato perchè non ne ho capito l'inerenza con il mio discorso.

 

no, mai detto ciò, ma IMHO i partigiani non erano certo santi, l'italia più che altro l'hanno liberata gli americani.

 

L'Italia l'hanno liberata gli italiani stessi.NO POLITICA PLEASE!

Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
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Cortesemente in questo forum è vietato nel modo più assoluto parlare di politica, per il rispetto delle diverse opinioni degli utenti al fine di evitare inutili discussioni e guerre tra membri che non portano da nessuna parte.Al massimo qui si possono riportare accertati collegamenti tra mafie e politica.

 

Grazie infinite per la disponibilità.

 

 

 

Permettimi di non essere d'accordo perchè secondo il tuo pensiero sarebbero inutili anche le gesta di Gesù Cristo o Ghandi (ovviamente nei limiti proporzionali tra i personaggi) data la perseveranza del male su questa Terra e la sottomissione di alcuni popoli.Penso invece che gente come Saviano, Don Diana, Falcone, Borsellino, Giancarlo Siani etc. siano dei personaggi costituenti un patrimonio preziosissimo per una società civile onesta e perbene che vuole debellare i mali che affliggono altri connazionali e il proprio Paese.

 

Poi certamente un libro non uccide o rende immuni dalla mafia, ma pensa da Gomorra quanto l'attenzione dell'opinione pubblica si sia concentrata sui traffici e gli affari delle mafie che prima risultavano argomeni di sconosciuta esistenza ai più.E il conseguente ostacolamento di questi fatti.La parola critica è sempre l'arma più potente perchè a mio modo di vedere combatte l'ignoranza, e là dove c'è ignoranza c'è anche omertà. egoismo, falsità, supruso e violenza, c'è la mafia.

 

 

 

Ripeto dei decorsi storici non ce ne può fregar di meno.Nel bene o nel male ciò di cui parli è storia.Evitiamo la chiusura di un topic interessante come questo, anche se ultimamente è un pò trascurato.

 

Inoltre ti chiedo di riformulare la risposta che mi "avresti" dato perchè non ne ho capito l'inerenza con il mio discorso.

 

 

 

L'Italia l'hanno liberata gli italiani stessi.NO POLITICA PLEASE!

okok, chiudiamo la cosa sul nascere

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no, mai detto ciò, ma IMHO i partigiani non erano certo santi, l'italia più che altro l'hanno liberata gli americani.

veramente il nord è stato liberato dai partigiani il 25 aprile perchè se aspettavamo gli americani...

 

non avevo letto l'intervento di figotto.scusate ma non mi piace quando qualcuno mette in dubbio il valore dei partigiani.

fine del discorso

 

Permettimi di non essere d'accordo perchè secondo il tuo pensiero sarebbero inutili anche le gesta di Gesù Cristo o Ghandi (ovviamente nei limiti proporzionali tra i personaggi) data la perseveranza del male su questa Terra e la sottomissione di alcuni popoli.Penso invece che gente come Saviano, Don Diana, Falcone, Borsellino, Giancarlo Siani etc. siano dei personaggi costituenti un patrimonio preziosissimo per una società civile onesta e perbene che vuole debellare i mali che affliggono altri connazionali e il proprio Paese.

tutto vero ma la storia di borsellino e falcone (solo per dirne due) insegna che chi si mette contro la mafia viene ucciso e questo secondo me rafforza il pensiero che la mafia sia invulnerabile

 

In memoria dei nostri eroi.

 

 

Giovanni Falcone(Palermo, 18 Maggio 1939 – Palermo, 23 Maggio 1992) vittima della MAFIA VIGLIACCA.

« Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l'essenza della dignità umana. »

(Giovanni Falcone)

« Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola. »

(Giovanni Falcone)

 

Giovanni Falcone è stato un magistrato italiano, tra i padri della lotta alla mafia, ed è considerato un eroe italiano.

 

Figlio di Arturo Falcone, direttore del Laboratorio chimico provinciale, e di Luisa Bentivegna, aveva due sorelle maggiori, Anna e Maria. Giovanni Falcone studiò al liceo classico "Umberto" e successivamente, dopo una breve esperienza all'Accademia Navale di Livorno, si iscrisse a giurisprudenza all'Università degli Studi di Palermo dove si laureò nel 1961, con una tesi sulla "Istruzione probatoria in diritto amministrativo"

 

Falcone vinse il concorso in Magistratura nel 1964 e per breve tempo fu pretore a Lentini e poi sostituto procuratore a Trapani per dodici anni. Qui, a poco a poco nacque in lui la passione per il diritto penale.

 

Arrivò a Palermo e dopo l'omicidio del giudice Cesare Terranova cominciò a lavorare all'Ufficio istruzione, che sotto la successiva guida di Rocco Chinnici diviene un esempio innovativo di organizzazione giudiziaria. Chinnici chiamò al suo fianco anche Paolo Borsellino e Falcone, al quale affida, nel maggio 1980, le indagini contro Rosario Spatola: un lavoro che coinvolgeva anche criminali negli Stati Uniti e all'epoca osteggiato da alcuni altri magistrati.

 

Alle prese con questo caso, Falcone comprese che per indagare con successo le associazioni mafiose era necessario basarsi anche su indagini patrimoniali e bancarie, per ricostruire il percorso del denaro che accompagnava i traffici ed un quadro complessivo del fenomeno, per evitare la serie di assoluzioni con cui si erano conclusi i precedenti processi contro la mafia.

 

Sono anni tumultuosi che vedono la prepotente ascesa dei Corleonesi, i quali impongono il proprio feudo criminale insanguinando le strade a colpi di omicidi. Emblematici i titoli del quotidiano palermitano L'Ora, che arriverà a titolare le sue prime pagine enumerando le vittime della drammatica guerra di mafia. Tra queste vittime anche svariati e valorosi servitori dello Stato come Pio La Torre, principale artefice della legge Rognoni-La Torre (che introdusse nel codice penale il reato di associazione mafiosa), e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Infine lo stesso Chinnici, al quale succedette Antonino Caponnetto.

 

Caponnetto si insedia concependo la creazione di un "pool" di pochi magistrati che, così come sperimentato contro il terrorismo, potessero occuparsi dei processi di mafia, esclusivamente e a tempo pieno, col vantaggio sia di favorire la condivisione delle informazioni tra tutti i componenti e minimizzare così i rischi personali, che per garantire in ogni momento una visione più ampia ed esaustiva possibile di tutte le componenti del fenomeno mafioso.

 

Nello scegliere i suoi uomini, Caponnetto pensa subito a Falcone per l'esperienza ed il prestigio già da lui acquisiti, ed a Giuseppe Di Lello, pupillo di Chinnici. Lo stesso Falcone suggerì poi l'introduzione di Borsellino, mentre la scelta dell'ultimo membro ricadde sul giudice più anziano, Leonardo Guarnotta. La validità del nuovo sistema investigativo si dimostra da subito indiscutibile, e sarà fondamentale per ogni successiva indagine, negli anni a venire.

 

Ma una vera e propria svolta epocale alla lotta alla mafia sarebbe stata impressa con l'arresto di Tommaso Buscetta, il quale, dopo una drammatica sequenza di eventi, decise di collaborare con la Giustizia. Il suo interrogatorio, iniziato a Roma nel luglio 1984 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro del Nucleo operativo della Criminalpol, si rivelerà determinante per la conoscenza non solo di determinati fatti, ma specialmente della struttura e delle chiavi di lettura dell'organizzazione definita Cosa Nostra.

 

Le inchieste avviate da Chinnici e portate avanti dalle indagini di Falcone e di tutto il pool portarono così a costituire il primo grande processo contro la mafia.

 

Questa reagì bruciando il terreno attorno ai giudici: dopo l'omicidio di Giuseppe Montana e Ninni Cassarà nell'estate 1985, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati, che furono indotti per motivi di sicurezza a soggiornare qualche tempo con le famiglie presso il carcere dell'Asinara (incredibilmente dovettero pagarsi le spese di soggiorno e consumo bevande, come ricordò Borsellino in un'intervista), dove gettarono le basi dell'istruttoria.

 

Ma il 16 Novembre 1987 diventa una data storica e insieme un momento fondamentale per il Paese, che per la prima volta inchioda la mafia traducendola alla Giustizia. Il Maxiprocesso di Palermo sentenzia 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.

 

Nel dicembre 1986, Borsellino viene nominato Procuratore della Repubblica di Marsala e lascia il pool. Come ricorderà Caponnetto, a quel punto gli sviluppi dell'istruttoria includono ormai quasi un milione di fogli processuali, rendendo necessaria l'integrazione di nuovi elementi per seguire l'accresciuta mole di lavoro. Entrarono così a far parte del pool altri tre giudici istruttori: Ignazio De Francisci, Gioacchino Natali e Giacomo Conte.

 

Se lo Stato aveva conseguito una vittoria memorabile, la partita era lungi da considerarsi conclusa. Inoltre, Caponnetto si apprestava a lasciare l'incarico per ragioni di salute, e raggiunti limiti di età. Alla sua sostituzione vennero candidati Falcone, ed Antonino Meli. Nel settembre 1987, dopo una discussa votazione, il Consiglio Superiore della Magistratura nominò Meli. A favore di Falcone, votò anche il futuro Procuratore della Repubblica di Palermo, Giancarlo Caselli.

 

La scelta di Meli, generalmente motivata in base alla mera anzianità di servizio, piuttosto che alla maggiore competenza effettivamente maturata da Falcone, innescò amare polemiche, e venne interpretata come una possibile rottura dell'azione investigativa; Borsellino stesso aveva lanciato a più riprese l'allarme a mezzo stampa, rischiando conseguenze disciplinari; esternazioni che di fatto non sortirono alcun effetto.

 

Meli si insedia nel gennaio 1988 e finisce con lo smantellare il metodo di lavoro intrapreso, riportandolo indietro di un decennio. Da qui in poi Falcone e i suoi dovettero fronteggiare un numero sempre crescente di ostacoli alla loro attività. La mafia intanto non ha abbassato la guardia, ed uccide l'ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco, che aveva denunciato le pressioni subite da Vito Ciancimino durante il suo mandato. Tempo dopo, i due membri del pool Di Lello e Conte si dimisero polemicamente. Non ultimo, persino la Cassazione sconfessò l'unitarietà delle indagini in fatto di mafia affermata da Falcone.

 

Il 30 Luglio Falcone richiese addirittura di essere destinato a un altro ufficio, ma Meli, ormai in aperto contrasto con Falcone, e, come premonizzato da Borsellino, sciolse ufficialmente il pool. Un mese dopo, Falcone ebbe l'ulteriore amarezza di vedersi preferito Domenico Sica alla guida dell'Alto Commissariato per la lotta alla Mafia. Nonostante gli avvenimenti, tuttavia, Falcone proseguì ancora una volta il suo straordinario lavoro, realizzando una importante operazione antidroga in collaborazione con Rudolph Giuliani, allora procuratore distrettuale di New York.

 

Il 21 Giugno 1989, Falcone divenne obiettivo di un attentato presso la sua villa al mare, comunemente detto "attentato dell'Addaura" e sul quale ancor oggi non è stata fatta piena luce.

 

I sicari di Totò Riina e di altri mafiosi ritenuti mandanti, piazzarono un borsone con cinquantotto candelotti di tritolo in mezzo agli scogli, a pochi metri dalla villa del giudice, che stava per ospitare i colleghi Carla del Ponte e Claudio Lehmann. Il piano era probabilmente quello di assassinare il giudice allorché fosse sceso dalla villa sulla spiaggia per fare il bagno, ma l'attentato fallì, probabilmente perché i killer non riuscirono a far esplodere l'ordigno a causa di un detonatore difettoso, dandosi quindi alla fuga e abbandonando il borsone.

 

Falcone dichiarò a riguardo che a volere la sua morte si trattava probabilmente di qualcuno che intendeva bloccarne l'inchiesta sul riciclaggio in corso, parlando inoltre di "menti raffinatissime", e teorizzando la collusione tra soggetti occulti e criminalità organizzata, come avvenuto per l'omicidio Dalla Chiesa. Espressioni in cui molti lessero i servizi segreti deviati. Il giudice, in privato, si manifestò sospettando di Bruno Contrada, funzionario del Sisde che aveva costruito la sua carriera al fianco di Boris Giuliano. Contrada verrà poi arrestato e condannato in primo grado a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, sentenza poi confermata in Cassazione.

 

Ma al Palazzo di Giustizia di Palermo aveva preso corpo anche la nota vicenda del "corvo": una serie di lettere anonime (di cui un paio addirittura composte su carta intestata della Criminalpol), che diffamarono il giudice ed i colleghi Giuseppe Ayala, Giammanco, Prinzivalli più altri come il Capo della Polizia di Stato, Vincenzo Parisi, ed importanti investigatori come De Gennaro e Antonio Manganelli. In esse Falcone veniva millantato soprattutto di avere "pilotato" il ritorno di un pentino, Totuccio Contorno, al fine di sterminare i corleonesi, storici nemici della sua famiglia.

 

I fatti descritti venivano presentati come movente della morte di Falcone ad opera dei corleonesi, i quali avrebbero organizzato il poi fallito attentato come vendetta per il rientro di Contorno (e non, si badi, per i decenni di inflessibile lotta senza quartiere che Falcone aveva scatenato contro di loro...). I contenuti, particolarmente ben dettagliati sulle presunte coperture del Contorno e gli accadimenti all'interno del tribunale, furono alimentati ad arte sino a destare notevole inquietudine negli ambienti giudiziari, tanto che nello stesso ambiente degli informatori di polizia queste missive vennero attribuite ad un "corvo", ossia un magistrato.

 

Sebbene sul momento la stampa non lo spiegasse apertamente al grande pubblico, infatti, tra gli esperti di "cose di cosa nostra" (come Falcone) era risaputo che, nel linguaggio mafioso, tale appellativo designasse proprio i magistrati (dalla toga nera che indossano in udienza); le missive avrebbero così inteso insinuare la certezza che in realtà il pool operasse al di fuori dalle regole, immerso tra invidie, concorrenze e gelosie professionali.

 

Gli accertamenti per individuare gli effettivi responsabili portarono alla condanna in primo grado per diffamazione del giudice Alberto Di Pisa, identificato grazie a dei rilievi dattiloscopici. Le impronte digitali - raccolte con un artificio dal magistrato inquirente - furono però dichiarate processualmente inutilizzabili, oltre a lasciare dubbi sulla loro validità probatoria (sia il bicchiere di carta su cui erano state prelevate le impronte, sia l'anonimo con cui furono confrontate, erano alquanto deteriorati).

 

Una settimana dopo il fallito attentato, il C.S.M. decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica. Di Pisa, che tre mesi dopo davanti al C.S.M. avrebbe mosso gravi rilievi allo stesso Falcone sia sulla gestione dei pentiti che sull'operato, verrà poi assolto in Appello per non aver commesso il fatto.

 

Nell'agosto 1989 iniziò a collaborare coi magistrati anche il mafioso Giuseppe Pellegriti, fornendo preziose informazioni sull'omicidio del giornalista Giuseppe Fava, e rivelando al Pubblico Ministero Libero Mancuso di essere venuto a conoscenza, tramite il boss Nitto Santapaola, di fatti inediti sul ruolo del politico Salvo Lima negli omicidi di Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Mancuso informò subito Falcone, che interrogò il pentito a sua volta, e, dopo due mesi di indagini, lo incrimina insieme ad Angelo Izzo, spiccando nei loro confronti due mandati di cattura per calunnia (poi annullati dal Tribunale della libertà in quanto essi erano già in carcere). Pellegriti, dopo l'incriminazione, ritrattò, attribuendo a Izzo di essere l'ispiratore delle accuse.

 

Lima e la corrente di Giulio Andreotti, erano spregiati dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e tutto il movimento antimafia, e l'incriminazione di Pellegriti venne vista come una sorta di cambiamento di rotta del giudice dopo il fallito attentato, tanto che ricevette nuove e dure critiche al suo operato da parte di esponenti come Carmine Mancuso, Alfredo Galasso e in maniera minore anche da Nando Dalla Chiesa, figlio del compianto generale. Gerardo Chiaromonte, presidente della Commissione Antimafia, scriverà poi, in riferimento al fallito attentato all'Addaura contro Falcone: «I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».

 

Nel gennaio '90, Falcone coordina un'altra importante inchiesta che porta all'arresto di trafficanti di droga colombiani e siciliani. Ma a maggio riesplose, violentissima, la polemica, allorquando Orlando interviene alla seguitissima trasmissione televisiva di Rai 3, Samarcanda dedicata all'omicidio di Giovanni Borsiglione, scagliandosi contro Falcone, che, a suo dire, avrebbe "tenuto chiusi nei cassetti" una serie di documenti riguardanti i delitti eccellenti della mafia. Le accuse erano indirizzate anche verso il giudice Roberto Scarpinato, oltre al procuratore Pietro Giammanco, ritenuto vicino ad Andreotti. Si asseriscono responsabilità politiche alle azioni della cupola mafiosa (il cosiddetto "terzo livello") ma Falcone dissente sostanzialmente da queste conclusioni, sostenendo, come sempre, la necessità di prove certe e bollando simili affermazioni come "cinismo politico".

 

Nel settembre 1991 Salvatore Cuffaro, all'epoca deputato regionale poi presidente della regione Sicilia per il centro-destra ed attualmente eurodeputato UDC, intervenne ad una puntata speciale della trasmissione televisiva Samarcanda condotta da Michele Santoro in collegamento con il Maurizio Costanzo Show e dedicata alla commemorazione dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia. In quella occasione, Cuffaro - presente tra il pubblico - si scagliò con veemenza contro conduttori ed ospiti (tra cui Falcone), sostenendo come le iniziative portate avanti da un certo tipo di "giornalismo mafioso" fossero degne dell'attività mafiosa vera e propria, tanto criticata e comunque lesive della dignità della Sicilia. Cuffaro parlò di certa magistratura "che mette a repentaglio e delegittima la classe dirigente siciliana", con chiaro riferimento a Mannino, in quel momento uno dei politici più influenti della Dc.

 

La polemica sancì la rottura del fronte antimafia, e da allora in poi Cosa Nostra si avvantaggerà della tensione strisciante nelle istituzioni, cosa che avvelenò sempre più il clima attorno a Falcone, isolandolo. Alle seguenti elezioni dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura del 1990, Falcone venne candidato per le liste collegate "Movimento per la giustizia" e "Proposta 88", ma non viene eletto. Fattisi poi via via sempre più aspri i dissensi con Giammanco, Falcone optò per accettare la proposta di Claudio Martelli, allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia ad interim, a dirigere la sezione Affari Penali del ministero.

 

In questo periodo, che va dal 1991 alla sua morte, Falcone fu molto attivo, cercando in ogni modo di rendere più incisiva l'azione della magistratura contro il crimine. Tuttavia, la vicinanza di Giovanni Falcone al socialista Claudio Martelli costò al magistrato siciliano violenti attacchi da buona parte del mondo politico. In particolare, l'appoggio di Martelli fece destare sospetti da parte dei partiti di centro sinistra che fino ad allora avevano appoggiato una possibile candidatura di Falcone.

 

Falcone in realtà profuse tutta la propria professionalità nel preparare leggi che il Parlamento avrebbe successivamente approvato, ed in particolare sulla procura nazionale antimafia.

 

Alcuni magistrati avversarono poi il progetto della Superprocura, denunciando il rischio che essa costituisse paradossalmente un elemento strategico nell'allontanamento di Falcone dal territorio siciliano e nella neutralizzazione reale delle sue indagini.

 

Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone è costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) da Leoluca Orlando. L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole «eresie, insinuazioni» e «un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario». Sempre davanti al CMS Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo, affermò che «non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l'anticamera della verità, è l'anticamera del khoeminismo».

 

In questo contesto fortemente negativo, nel marzo 1992 viene assassinato Salvo Lima, omicidio che rappresenta un importante segnale dell'inasprimento della strategia mafiosa la quale rompe così gli equilibri consolidati ed alza il tiro verso lo Stato per ridefinire alleanze e possibili collusioni. Falcone era stato informato poco più di un anno prima con un dossier dei Carabinieri del Ros che analizzava l'imminente neo-equilibrio tra mafia, politica ed imprenditoria, ma il nuovo incarico non gli aveva permesso di ottemperare ad ulteriori approfondimenti.

 

Il ruolo di "Superprocuratore" a cui stava lavorando avrebbe consentito di realizzare un potere di contrasto alle organizzazioni mafiose sin lì impensabile. Ma ancor prima che egli vi venisse formalmente indicato, si riaprirono ennesime polemiche sul timore di una riduzione dell'autonomia della Magistratura ed una subordinazione della stessa al potere politico. Esse sfociarono per lo più in uno sciopero dell'Associazione Nazionale Magistrati e nella decisione del CSM che per la carica gli oppose inizialmente Agostino Cordova.

 

Sostenuto da Martelli, Falcone rispose sempre con lucidità di analisi e limpidezza di argomentazioni, intravedendo, presumibilmente, che il coronamento della propria esperienza professionale avrebbe definito nuovi e più efficaci strumenti al servizio dello Stato. Eppure, nonostante la sua determinazione, egli fu sempre più solo all'interno delle istituzioni, condizione questa che prefigurerà tristemente la sua fine. Emblematicamente, Falcone ottenne la nomina a Superprocuratore il giorno prima della sua morte.

 

Nell'intervista rilasciata a Marcelle Padovani per "Cose di Cosa Nostra", Falcone attesta la sua stessa profezia: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."

 

Giovanni Falcone muore nella comunemente detta strage di Capaci, il 23 Maggio 1992. Stava tornando, come era solito fare nei fine settimana, da Roma. Il jet di servizio partito dall'aeroporto di Ciampino intorno alle 16:45 arriva a Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Lo attendono quattro autovetture tre Fiat Croma ed una Lancia Thema, gruppo di scorta sotto comando del capo della squadra mobile della Polizia di Stato, Arnaldo La Barbera.

 

Appena sceso dall'aereo, Falcone si sistema alla guida della vettura bianca, ed accanto prende posto la moglie Francesca Morvillo mentre l'autista giudiziario Giuseppe Costanza occupa il sedile posteriore. Nella Croma marrone, c'è alla guida Vito Schifani, con accanto l'agente scelto Antonio Montinaro e sul retro Rocco Di Cillo, mentre nella vettura azzurra ci sono Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Al gruppo è in testa la Croma marrone, poi la Croma bianca guidata da Falcone, e in coda la Croma azzurra. Alcune telefonate avvisano della partenza i sicari che hanno sistemato l'esplosivo per la strage.

 

I particolari sull'arrivo del giudice dovevano essere coperti dal più rigido riserbo; indicativo del clima di sospetto che si viveva nel Paese, è il fatto che nell'aereo di Stato - che lo riportava a Palermo - avevano avuto un passaggio diversi "grandi elettori" (deputati, senatori e delegati regionali) siciliani reduci dagli scrutini di Montecitorio per l'elezione del Capo dello Stato, prolungatisi invano fino al sabato mattina. Uno di essi sarebbe stato addirittura inquisito per associazione a delinquere di stampo mafioso tre anni dopo; ma nessuna verità definitiva fu acquisita in sede processuale sull'identità della fonte che aveva comunicato alla mafia la partenza di Falcone da Roma e l'arrivo a Palermo per l'ora stabilita.

 

Le auto lasciano l'aeroporto imboccando l'autostrada in direzione Palermo. La situazione appare tranquilla, tanto che non vengono attivate neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina si affianca agli spostamenti delle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; sono gli ultimi secondi prima della strage.

 

Otto minuti dopo, alle ore 17:58, presso il Km.5 della A29, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in un tunnel scavato sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine viene azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. Pochissimi istanti prima della detonazione, Falcone si era accorto che le chiavi di casa erano nel mazzo assieme alle chiavi della macchina, e le aveva tolte dal cruscotto, provocando un rallentamento improvviso del mezzo. Brusca, rimasto spiazzato, preme il pulsante in ritardo, sicché l'esplosione investe in pieno solo La Croma marrone, prima auto del gruppo, scaraventandone i resti oltre la carreggiata opposta di marcia, sin su un piano di alberi; i tre agenti di scorta muoiono sul colpo.

 

La seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, si schianta invece contro il muro di cemento e detriti improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio. Falcone e la moglie, che non indossano le cinture di sicurezza, vengono proiettati violentemente contro il parabrezza. Falcone, che riporta ferite solo in apparenza non gravi, muore dopo il trasporto in ospedale a causa di emorragie interne. Rimangono feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra, che infine resiste, e si salvano miracolosamente anche un'altra ventina di persone che al momento dell'attentato si trovano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell'eccidio.

 

La detonazione provoca un'esplosione immane ed una voragine enorme sulla strada. In un clima irreale e di iniziale disorientamento, altri automobilisti ed abitanti dalle villette vicine danno l'allarme alle autorità e prestano i primi soccorsi tra la strada sventrata ed una coltre di polvere.

 

Venti minuti dopo circa, Giovanni Falcone viene trasportato sotto stretta scorta di un corteo di vetture e di un elicottero dell'Arma dei Carabinieri presso l'ospedale Civico di Palermo.Gli altri agenti e i civili coinvolti vengono anch'essi trasportati in ospedale mentre la Polizia Scientifica esegue i primi rilievi ed i Vigili del Fuoco espletano il triste compito di estrarre i cadaveri irriconoscibili di Schifani, Montinaro e Di Cillo.

 

Intanto i media iniziano a diffondere la notizia di un attentato a Palermo, ed il nome del giudice Falcone trova via via conferma. L'Italia intera, sgomenta, trattiene il fiato per la sorte delle vittime con tensione sempre più viva e contrastante, sinché alle 19:05, ad un'ora e sette minuti dall'attentato, Giovanni Falcone muore dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma cranico e delle lesioni interne. Francesca Morvillo morirà anch'essa, poche ore dopo.

 

Due giorni dopo, mentre a Roma viene eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfato, a Palermo si svolgono i funerali delle vittime ai quali partecipa l'intera città, assieme a colleghi e familiari e personalità come Giuseppe Ayala e Tano Grasso. I più alti rappresentanti del mondo politico, come Giovanni Spadolini, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Giovanno Galloni, vengono duramente contestati dalla cittadinanza; e le immagini televisive delle parole e del pianto straziante della vedova Schifani susciteranno particolare emozione nell'opinione pubblica.

 

Il giudice Ilda Boccassini urlerà la sua rabbia rivolgendosi ai colleghi nell'aula magna del Tribunale di Milano: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Nel suo sfogo il magistrato, che si farà trasferire a Caltanissetta per indagare sulla strage di Capaci, ricorderà anche il linciaggio subito dall'amico Falcone da parte dei suoi colleghi magistrati, anche facenti capo alla stessa corrente cui Falcone aderiva: «Due mesi fa ero a Palermo in un'assemblea dell'Anm. Non potrò mai dimenticare quel giorno. Le parole più gentili, specie da Md, erano queste: Falcone si è venduto al potere politico. Mario Almerighi lo ha definito un nemico politico. Ora io dico che una cosa è criticare la Superprocura. Un'altra, come hanno fatto il CSM, gli intellettuali e il cosiddetto fronte antimafia, è dire che Giovanni non fosse più libero dal potere politico. A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l'unica strada possibile, il ministero della Giustizia, per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione». La Boccassini criticherà anche l'atteggiamento dei magistrati milanesi impegnati in Mani pulite: «Tu, Gherardo Colombo, che diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale? Giovanni è morto con l'amarezza di sapere che i suoi colleghi lo consideravano un traditore. E l'ultima ingiustizia l'ha subìta proprio da quelli di Milano, che gli hanno mandato una richiesta di rogatoria per la Svizzera senza gli allegati. Mi ha telefonato e mi ha detto: "Non si fidano neppure del direttore degli Affari penali"».

 

Ilda Boccassini, rincarerà la dose in un'intervista del 2002, nei confronti di personaggi di entrambi gli schieramenti politici sottolineando l'avversione di persone di centro-sinistra come Leoluca Orlando così come di personaggi di centro-destra come l'ex senatore di Forza Italia (2001-2008) Lino Jannuzzi , il quale, quando Falcone si trasferì al ministero, consigliò agli italiani di tenere a portata di mano il passaporto perché stava nascendo, dopo la "cupola" mafiosa di Palermo, un'altra pericolosa "cupola" a Roma".

 

Dopo la sua morte, Leoluca Orlando, commentando l'ostracismo che Falcone subì da parte di alcuni colleghi negli ultimi mesi di vita, dirà: «L'isolamento era quello che Giovanni si era scelto entrando nel Palazzo dove le diverse fazioni del regime stavano combattendo la battaglia finale».

 

All'esecrazione dell'assassinio, il 4 Giugno si unisce anche il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione (la n. 308) intesa a rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente. Intanto, Paolo Borsellino, intraprenderà la sua ultima lotta contro il tempo, che durerà appena altri cinquantotto giorni, indagando nel tentativo di dare giustizia all'amico Giovanni.

 

« Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana. »

(J.F.Kennedy)

Al magistrato, in Sicilia e nel resto d'Italia sono state dedicate molte scuole e strade, nonché una piazza nel centro di Palermo. A Falcone e al suo collega Borsellino è stato dedicato anche l'Aeroporto di Palermo-Punta Raisi. Un albero situato di fronte l'ingresso del suo appartamento, in via Emanuele Notarbartolo a Palermo, raccoglie messaggi, regali e fiori dedicati al giudice: è "l'albero Falcone".

 

Il 23 Gennaio 2008, su proposta del sindaco Walter Veltroni, con una risoluzione approvata all'unanimità dal Consiglio dell'VIII Municipio di Roma, la località Ponte di Nona è stata rinominata Villaggio Falcone in suo onore.

 

Attualmente all'uscita di Capaci, dov'è avvenuto l'attentato, è eretta una colonna che espone i nomi delle vittime di quel maledetto 23 maggio 1992.

 

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Paolo Borsellino(Palermo, 19 Gennaio 1940 – Palermo, 19 Luglio 1992 ) vittima della MAFIA VIGLIACCA.

« Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola. »

(Paolo Borsellino)

Paolo Emanuele Borsellino è stato un magistrato italiano, vittima di mafia. È considerato un eroe italiano, come Giovanni Falcone, di cui fu amico e collega.

 

Nato a Palermo nel quartiere popolare La Kalsa, in cui vivevano tra gli altri anche Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta, dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo Borsellino si iscrisse al Liceo Classico "Giovanni Meli" di Palermo. Durante gli anni del liceo diventò direttore del giornale studentesco "Agorà". Nel giugno del 1958 si diplomò con ottimi voti e l'11 Settembre dello stesso anno Borsellino si iscrisse a Giurisprudenza a Palermo. Dopo una rissa tra studenti "neri" e "rossi" finì erroneamente anche lui di fronte al magistrato Cesare Terranova, cui dichiarò la propria estraneità ai fatti. Il giudice sentenziò che Borsellino non era implicato nell'episodio.

 

Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra, nel 1959 si iscrisse al FUAN, organizzazione degli universitari missini di cui divenne membro dell'esecutivo provinciale, e fu eletto come rappresentante studentesco nella lista del FUAN "Fanalino" di Palermo.

 

Il 27 Giugno 1962, all'età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su "Il fine dell'azione delittuosa" con relatore il professor Giovanni Musotto. Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, moriva suo padre all'età di cinquantadue anni. Borsellino si impegnò allora con l'ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita. Durante questo periodo la farmacia fu data in gestione per un affitto bassissimo, 120.000 lire al mese, e la famiglia Borsellino fu costretta a gravi rinunce e sacrifici. A Paolo fu concesso l'esonero dal servizio militare poiché "unico sostentamento della famiglia".

 

Nel 1967 Rita si laureò in farmacia, il primo stipendio da magistrato di Paolo servì proprio a pagare la tassa governativa.

 

Il 23 Dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto, figlia di Angelo Piraino Leto, a quel tempo magistrato presidente del tribunale di Palermo.

« L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati. »

(Paolo Borsellino, Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa 26/01/1989)

 

Nel 1963 Borsellino partecipò al concorso per entrare in magistratura ottenendo 57 voti si classifica venticinquesimo sui 110 posti in gara, e divenne il più giovane magistrato d'Italia. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme ad Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri. Proprio qui ebbe modo di conoscere per la prima volta la nascente mafia dei corleonesi.

Il 21 Marzo 1975 fu trasferito a Palermo ed il 14 Luglio entrò nell'ufficio istruzione affari penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con Chinnici si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell'Ufficio, come di "adozione" non soltanto professionale. La vicinanza che si stabilì fra i due uomini e le rispettive famiglie fu intensa e fu al giovane Paolo che Chinnici affidò la figlia, che abbracciava anch'essa quella carriera, in una sorta di tirocinio.

 

In quell'anno si costituì il "pool" antimafia nel quale sotto la guida di Chinnici lavorarono, fra gli altri, alcuni magistrati (Falcone, Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Giovanni Barrile) e funzionari della Polizia di Stato (Cassarà e Montana).

 

Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, separatamente, ognuno "per i fatti suoi", senza che uno scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue potesse consentire, nell'interazione, una maggiore efficacia con un'azione penale coordinata capace di fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità. Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fu la collaborazione fra Borsellino e l'appena "acquisito" Di Lello, che Chinnici aveva voluto e richiesto in squadra: Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero "quasi delle dispense sulla lotta alla mafia". E presto, senza che le note divergenze politiche potessero essere di più che mera materia di battute, anche fra i due il legame professionale si estese all'amicizia personale. Del resto era proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool: come ebbe a dire Guarnotta, si andava ad esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi in quella che era veramente la sua essenza.

 

Nel pool andò formandosi una "gerarchia di fatto", come la chiamò Di Lello, fondata sulle qualità personali di Falcone e Borsellino, tributari di questa leadership per superiori qualità - sempre secondo lo stesso collega - di "grande intelligenza, grandissima memoria e grande capacità di lavoro"; ed i colleghi non l'avrebbero discussa, questa supremazia, anche per il timore di essere sfidati a sostituirli.

 

Tutti i componenti del pool chiedevano espressamente l'intervento dello Stato, che non arrivò. Qualcosa faticosamente giunse nel 1982, a prezzo però di nuovo altro sangue "eccellente", quando dopo l'omicidio del deputato comunista Pio La Torre, il ministro dell'interno Virginio Rognoni inviò a Palermo il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che proprio in Sicilia e contro la mafia aveva iniziato la sua carriera di ufficiale, nominandolo prefetto. E quando anche questi trovò la morte, 100 giorni dopo, nella strage di via Carini, il parlamento italiano riuscì a varare la cosiddetta "legge Rognoni-La Torre" con la quale si istituiva il reato di associazione mafiosa (l'articolo 416 bis del codice penale) che il pool avrebbe sfruttato per ampliare le investigazioni sul fronte bancario, all'inseguimento dei capitali riciclati; era questa la strada che Giovanni Falcone ed i suoi colleghi del pool maggiormente intendevano seguire, una strada anni prima aperta dalle indagini finanziarie di Boris Giuliano (sul cui omicidio investigava il capitano Basile quando a sua volta assassinato) a proposito dei rapporti fra il capomafia Leoluca Bagarella ed il losco finanziere Michele Sindona.

 

Il 29 Luglio 1983 fu ucciso Rocco Chinnici, con l'esplosione di un'autobomba, e pochi giorni dopo giunse a Palermo da Firenze Antonino Caponnetto. Il pool chiese una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 fu arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta("Don Masino", come era chiamato nell'ambiente mafioso), catturato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia, iniziò a collaborare con la giustizia.

 

Buscetta descrisse in modo dettagliato la struttura della mafia, di cui fino ad allora si sapeva ben poco. Nel 1985 furono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l'uno dall'altro, il commissario Giuseppe Montana ed il vice-questore Ninni Cassarà. Falcone e Borsellino furono per sicurezza trasferiti nella foresteria del carcere dell'Asinara, nella quale iniziarono a scrivere l'istruttoria per il cosiddetto "maxiprocesso", che mandò alla sbarra 475 imputati. Si seppe in seguito che l'amministrazione penitenziaria richiese poi ai due magistrati un rimborso spese ed un indennizzo per il soggiorno trascorso.

 

Borsellino chiese ed ottenne (il 19 Dicembre 1986) di essere nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all'anzianità di servizio.

 

Secondo il collega Giacomo Conte la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo rispondeva ad una sua intuizione per la quale l'accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona esponeva non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell'azione contro la mafia, ma anche a quello di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne teneva le fila; questa collocazione, "solo apparentemente periferica", fu secondo questo autore esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza.

 

Di parere difforme fu Leonardo Sciascia, scrittore siciliano, il quale in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera il 10 Gennaio del 1987, si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso", a conclusione di un'esposizione principiata con due autocitazioni. Si tratta della nota polemica sui cosiddetti "professionisti dell'antimafia". Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone, parlando il 25 giugno 1992 ad un dibattito sullo stato della lotta alla mafia dopo la strage di Capaci: "Tutto incominciò con quell'articolo sui professionisti dell'antimafia".

 

Secondo Umberto Lucentini, uno dei suoi biografi, Borsellino si era invece reso conto della crescente importanza delle cosche trapanesi, e di Totò Riina e Bernardo Provenzano, all'interno della rete criminale di Cosa Nostra, che ad esempio intorno a Mazara del Vallo e nel Belice facevano ruotare interessi notevoli che occorreva seguire da vicino.

 

Nel 1987, mentre il maxiprocesso si avviava alla sua conclusione con l'accoglimento delle tesi investigative del pool e l'irrogazione di 19 ergastoli e 2.665 anni di pena, Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si attendevano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura non la vide alla stessa maniera e il 19 Gennaio 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore che il pool stesse per essere sciolto.

 

Borsellino parlò allora in pubblico a più riprese, raccontando quel che stava accadendo alla procura di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate il 20 Luglio 1988 a la Repubblica ed a L'Unità, riferendosi al CSM, dichiarò tra l'altro espressamente: "si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all'Ufficio", "hanno disfatto il pool antimafia", "hanno tolto a Falcone le grandi inchieste", "la squadra mobile non esiste più", "stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa". Per queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare (fu messo sotto inchiesta). A seguito di un intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, si decise almeno di indagare su ciò che succedeva nel palazzo di Giustizia.

 

Il 31 Luglio il CSM convocò Borsellino, il quale rinnovò accuse e perplessità. Il 14 Settembre Antonino Meli, sulla base di una decisione fondata sulla mera anzianità di ruolo in magistratura, fu nominato capo del pool; Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Iniziava in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo, nel frattempo Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì premeva per l'istituzione della Superprocura.

 

Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e l'11 Dicembre 1991 vi ritornò come Procuratore aggiunto, insieme al sostituto Antonio Ingroia.

 

Nel settembre del 1991, la mafia aveva già abbozzato progetti per l'uccisione di Borsellino. A rivelarlo fu Vincenzo Calcara, picciotto della zona di Castelvetrano cui la Cupola Mafiosa, per bocca di Francesco Messina Denaro (capo della cosca di Trapani), aveva detto di tenersi pronto per l'esecuzione, che si sarebbe dovuta effettuare o mediante un fucile di precisione, o con un'autobomba. Assai onorato dell'incarico, che gli avrebbe consentito la scalata di qualche gradino nella gerarchia mafiosa, il mafioso attendeva l'ordine di entrare in azione come cecchino qualora si fosse propeso per questa soluzione. Ma Calcara fu arrestato il 5 Novembre e la sua situazione in carcere si fece assai pericolosa poiché, secondo quanto da lui stesso indicato, aveva in precedenza intrecciato una relazione con la figlia di uno dei capi di Cosa Nostra, uno sbilanciamento del tutto contrario alle "regole" mafiose e sufficiente a costargli la vita; se da latitante poteva ancora essere utilizzato per "lavori sporchi", da carcerato invece gli restava solo la condanna a morte emessa dall'organizzazione. Prima che finisse il periodo di isolamento, Calcara decise di diventare collaboratore di giustizia e si incontrò proprio con Borsellino, al quale, una volta rivelatogli il piano e l'incarico, disse: "lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla". Dopo di ciò, raccontò sempre il pentito, gli chiese di poterlo abbracciare e Borsellino avrebbe commentato: "nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d'onore mi abbracciasse".

 

Il 23 Maggio 1992 nell'attentato di Capaci persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco di Cillo.

 

« Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninnì Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo.

Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano". »

(Paolo Borsellino, intervista a Lamberto Sposini dell'inizio di luglio)

Il 19 Luglio, 57 giorni dopo Capaci, Paolo Borsellino fu ucciso insieme agli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Il pomeriggio, nel corso dell'XI scrutinio delle elezioni presidenziali, i 47 parlamentari del MSI votarono per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica. Una settimana dopo la strage, la giovanissima testimone di giustizia Rita Atria, che proprio per la fiducia che riponeva nel giudice Borsellino si era decisa a collaborare con gli inquirenti pur al prezzo di recidere i rapporti con la madre, si uccise.

 

Diversi pentiti di mafia ritrattarono alcune accuse precedentemente espresse.

 

Borsellino rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare l'isolamento dei giudici e l'incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino descrisse le ragioni che avevano portato all'omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigurò la fine (che poi egli stesso fece) che ogni giudice "sovraesposto" è destinato a fare.

 

Alla presentazione di un libro alla presenza dei ministri dell'interno e della giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico fu chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla "Superprocura"; alla sua risposta negativa Scotti intervenne annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al CSM di riaprire il concorso ed invitandolo formalmente a candidarsi. Borsellino non rispose a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: "dal suo viso trapela una indignazione senza confini"". Rispose al ministro per iscritto, giorni dopo: "La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento".

 

Due mesi prima di essere ucciso, Paolo Borsellino rilasciò un'intervista ai giornalisti Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi (21 Maggio 1992). L'intervista mandata in onda da RaiNews 24 nel 2000 era di trenta minuti, quella originale era invece di cinquanta minuti.

 

 

« All'inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa. Un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all'industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso »

(Paolo Borsellino, in quella intervista)

Nell'intervista (la penultima rilasciata), Borsellino riferì delle possibili correlazioni tra i mafiosi di Cosa Nostra e di ricchi uomini d'affari come il futuro Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. In questa sua ultima intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra la mafia e l'ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Silvio Berlusconi.

 

Alla domanda se fosse Mangano un "pesce pilota" della mafia al Nord, Borsellino rispose che egli era sicuramente una testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia. Sui rapporti con Berlusconi invece si astenne da giudizi definitivi.

 

Anche alla luce di quest'intervista e del ruolo di Mangano così come descritto da Borsellino (testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia) destò scalpore la dichiarazione di Marcello Dell'Utri, condivisa dal presidente del consiglio dei ministri Silvio Berlusconi riferita a Vittorio Mangano: egli fu, a modo suo, un eroe.

 

Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l'intervista trasmessa da RaiNews 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma fu assolto. Vi era corrispondenza tra la cassetta ricevuta ed il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte erano state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di "cavalli in albergo" per indicare un traffico di droga, non si riferiva ad una telefonata fra Dell'Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell'intervistatore (che faceva riferimento ad un'intercettazione dell'inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma ad una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.

 

Nel numero de L'Espresso dell'8 aprile 1994 fu pubblicata una versione più estesa dell'intervista.

 

L'intervista, e i tagli relativi alla sua versione televisiva, furono citati anche dal tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Gaetano Cinà e Marcello Dell'Utri:

 

« Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal dr. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l'indubbio rilievo di un simile documento. »

(Dalla sentenza di condanna di Dell'Utri Pag 431)

Nella sentenza fu poi riportato il brano dell'intervista relativo all'uso del termine "cavalli" per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza era poi riportata l'intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell'Utri, relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un "cavallo", a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell'intervista a Borsellino. La sentenza specificava però che:

 

 

« Tra le telefonate intercettate (il cui tenore aveva consentito di disvelare i loschi traffici ai quali il Mangano si era dedicato in quegli anni) si inserisce quella del 14 febbraio 1980 intercorsa tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri.

È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a "cavalli", termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell'Utri e i diversi personaggi attenzionati dagli investigatori. »

 

Il 19 Luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vive sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo, esplose al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, gravemente ferito.

 

Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in una intervista televisiva a Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

 

Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, "Non c'è più speranza...", intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che "Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell'attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l'abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze".

 

« Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. »

(Lirio Abbate, Peter Gomez)

Nell'introduzione del libro L'agenda rossa di Paolo Borsellino Marco Travaglio scrive:

 

« Oggi, quindici anni dopo, non è cambiato nulla. L'impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d'accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L'agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica. Grazie a questo libro cominciamo a capire qualcosa anche noi »

(Marco Travaglio)

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, parla esplicitamente di "strage di Stato":

 

« Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l'assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D'Amelio come una strage di mafia. [...] Hanno messo in galera un po' di persone - tra l'altro condannate per altri motivi e per altre stragi - e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull'argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell'opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa - televisione e giornali - è caduta in questa chiamiamola "trappola" [...] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente [...] è che questa è una strage di stato, nient'altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell'opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del '92 »

(Salvatore Borsellino)

 

« Io accetto la... ho sempre accettato il... più che il rischio, la... condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli.

Il... la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in... in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.

E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare... dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro. »

(Paolo Borsellino, intervista a Sposini, inizio luglio 1992)

 

La figura di Paolo Borsellino, come quella di Giovanni Falcone, ha lasciato un grande esempio nella società civile e nelle istituzioni.

 

Alla sua memoria sono state intitolate numerose scuole e associazioni, nonché (insieme all'amico e collega) l'aeroporto internazionale "Falcone-Borsellino" (ex "Punta Raisi", Palermo) ed un'aula della facoltà di Giurisprudenza all'Università di Roma La Sapienza.

 

Anche il cinema e la televisione hanno onorato la memoria del magistrato palermitano:

 

  • Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara;
  • I giudici di Ricky Tognazzi;
  • Gli angeli di Borsellino di Rocco Cesareo;
  • Paolo Borsellino, miniserie televisiva del 2004 di Gianluca Maria Tavarelli;
  • Paolo Borsellino - Essendo Stato, scritto e diretto da Ruggero Cappuccio.

 

« Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un'altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili. »

(Antonino Caponnetto, intervista a Gianni Minà, maggio 1996)

Medaglia d'oro al valor civile
«Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.» — Palermo, 19 Luglio 1992

 

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Carlo Alberto Dalla Chiesa (Saluzzo, 27 Settembre 1920 – Palermo, 3 Settembre 1982 ) vittima della MAFIA VIGLIACCA.

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<div style="color:#000;background:#FAFCFE;border:1px dotted #000;border-left:4px solid #429E6F;border-top:0;padding:4px;margin: 0 auto 8px auto;display:none;">Carlo Alberto Dalla Chiesa fu un partigiano, generale e prefetto italiano.

Figlio d'Arma (il padre Romano partecipò alle campagne del Prefetto Mori e nel 1995 sarebbe divenuto vice comandante generale dell'Arma), divenne ufficiale di complemento di fanteria nel 1942, passò all'Arma in servizio permanente effettivo e completò gli studi di giurisprudenza; dopo l'armistizio quasi subito entrò nella Resistenza, operando in clandestinità negli Abruzzi e nelle Marche; vi svolse ruoli di un certo rilievo e nel 1944 partecipò alla presa di Roma con le truppe alleate.

 

Dopo la guerra fu inviato in Campania, avendo per prima destinazione Casoria (comando di Compagnia), dove erano in corso rilevanti operazioni nella lotta al banditismo. Proprio in questa lotta si distinse e nel 1949 fu pertanto inviato su sua richiesta in Sicilia, dove entrò nella formazione delle Forze Repressione Banditismo agli ordini del Generale Ugo Luca, che oltre ad avere a che fare con criminali come il bandito Salvatore Giuliano, si occupava anche di arginare le tensioni separatistiche attizzate dall'EVIS e da altri agitatori, nonché delle relazioni fra queste due pericolose sacche di illegalità; nell'isola comandò il Gruppo Squadriglie di Corleone e svolse ruoli importanti e di grande delicatezza, meritando peraltro una Medaglia d'Argento al Valor Militare.

 

Da Capitano, indagò sulla scomparsa (poi rivelatasi omicidio) del sindacalista Placido Rizzotto, scoprendone il cadavere che era stato abilmente occultato e giungendo ad indagare e incriminare l'allora emergente boss della mafia Luciano Liggio. Il posto di Rizzotto sarebbe stato preso da Pio La Torre, che Dalla Chiesa conobbe in tale occasione e che in seguito fu anch'egli ucciso dalla mafia.

 

Il nome di Dalla Chiesa si sarebbe successivamente legato alle indagini sull'incidente in cui perse la vita il presidente dell'ENI Enrico Mattei, il cui aereo, decollato dalla Sicilia, precipitò mentre si avvicinava all'aeroporto di Linate.

 

Ebbe una parentesi di servizio sul Continente, a Firenze, Como e presso il comando della Brigata di Roma, parentesi però caratterizzata anche da un asserito contrasto con il generale Giovanni De Lorenzo, che era divenuto comandante generale dell'Arma e che l'aveva destinato, ormai tenente colonnello, al comando di istituti di istruzione in Piemonte.

 

Da taluni si sostenne infatti che il trasferimento potesse avere alcunché di punitivo o che comunque si trattasse di un allontanamento di comodo, mentre da altri si ribatté che Giovanni De Lorenzo (che aveva in corso la ristrutturazione integrale della Benemerita) veramente volesse che le Scuole Allievi Carabinieri fossero dirette da ufficiali di vaglia e non più (come invece secondo prassi militare) da ufficiali di scarso valore o puniti. Dalla Chiesa, il cui stato di servizio era effettivamente già ben notevole, era considerato "non sgradito" ad un altro importantissimo esponente dell'Arma, quel Generale Giuseppe Aloja che a De Lorenzo aveva vanamente conteso il comando generale dell'Arma e che si trovava ancora in posizioni più antitetiche che collaborative con il comandante generale.

 

Nel 1964 passò al coordinamento del nucleo di polizia giudiziaria presso la Corte d'Appello di Milano, che poi unificò e diresse come nuovo gruppo.

 

Dal 1966 (curiosamente in coincidenza con l'uscita di De Lorenzo dall'Arma) al 1973 tornò in Sicilia con il grado di colonnello, al comando della legione carabinieri di Palermo. Trasse notevoli risultati dalle sue studiate tecniche di investigazione, assicurando alla Giustizia boss come Gerlando Alberti o Frank Coppola ed iniziando a seguire piste che almeno per sussurro avrebbero aperto al successivo disvelamento delle relazioni fra mafia e politica.

 

Nel 1968 intervenne coi suoi reparti in soccorso delle popolazioni del Belice colpite dal sisma, riportandone una medaglia di bronzo al valor civile per la personale partecipazione "in prima linea" alle operazioni.

 

Nel 1970 svolse indagini sulla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, il quale poco prima aveva contattato il regista Francesco Rosi promettendogli materiale che lasciava intendere scottante sul caso Mattei. Le indagini furono svolte con ampia collaborazione fra i Carabinieri e la Polizia, per la quale erano dirette da Boris Giuliano, anch'egli in seguito ucciso dalla mafia. Giuliano, peraltro, aveva iniziato ad investigare su molti aspetti operativi ed organizzativi della criminalità organizzata, in una fase in cui venivano alla ribalta personaggi come Michele Sindona e divenivano evidenti (o meno nascondibili) i "nessi" con il mondo politico. Le indagini sul De Mauro, però, non sortirono effetti di rilievo.

 

Nel 1973 fu promosso al grado di generale di brigata, nel 1974 divenne comandante della regione militare di nord-ovest, con giurisdizione su Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria.

 

Ad Alessandria, una rivolta dei detenuti che avevano preso degli ostaggi, viene stroncata dal procuratore generale di Torino, Carlo Reviglio Della Veneria e dal generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa che ordinano un attacco militare che si conclude con l’uccisione di due detenuti, di due secondini, del medico del carcere e di una assistente sociale.

 

Dopo aver selezionato dieci ufficiali dell'arma, creò una struttura antiterrorismo (con base a Torino), che nel settembre del 1974 gli consentì di catturare (a Pinerolo) Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco delle Brigate Rosse, grazie anche alla determinante collaborazione di Silvano Girotto, detto "frate mitra".

 

Nel 1977 fu nominato Coordinatore del Servizio di Sicurezza degli Istituti di Prevenzione e Pena; passato generale di divisione, ottenne in seguito (9 Agosto 1978) poteri speciali per diretta determinazione governativa e fu nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo, sorta di reparto operativo speciale alle dirette dipendenze del ministro dell'interno (Virginio Rognoni, che sarebbe restato tale sino a dopo la morte di Dalla Chiesa), creato con particolare riferimento alla lotta alle Brigate Rosse ed alla ricerca degli assassini di Aldo Moro.

 

La concessione di poteri speciali a Dalla Chiesa fu veduta da taluni come pericolosa o impropria (le sinistre estreme la catalogarono come "atto di repressione"), anche per i retaggi sull'opinione pubblica del non tanto remoto periodo buio degli anni Sessanta; ne nacquero polemiche di una certa intensità, via via attenuate e poi smorzate dal ripetersi di brillanti operazioni.

 

Mise in pratica diverse forme di intervento, in particolare sollecitando ed ottenendo dal governo la formalizzazione di un rapporto privilegiato con la collaborazione interna; nacque così la figura giuridica del pentito, che in qualche modo era sempre informalmente coltivata nella Penisola a partire dai passaggi di ordinamenti spagnoleschi. Facendo leva sul pentitismo, ma sfruttando assai anche le infiltrazioni (ed agendo quindi con modalità di intelligence) si scoprì dell'organizzazione terroristica abbastanza per opporvi un efficace contrasto.

 

Il generale ebbe successo anche nell'individuare ed arrestare gli indiziati esecutori materiali degli omicidi di Moro e della sua scorta e nell'assicurare alle patrie galere centinaia e centinaia di fiancheggiatori o presunti tali, rassicurando l'opinione pubblica sulla giustezza delle scelte effettuate e riconsegnando al contempo all'Arma una generalizzata fiducia popolare.

 

Erano passati pochi mesi dall'uccisione dello statista Aldo Moro, e mentre alcuni indiziati (con pubblico scandalo, ma secondo la legge) venivano rimessi in libertà per decorrenza dei termini della custodia cautelare (dandosi poi, in alcuni casi, come quello di Nadia Mantovani, alla latitanza), nelle indagini i Carabinieri parevano aver unito buone deduzioni a qualche inatteso colpo di fortuna; come fu poi meglio reso noto in seguito, il casuale ritrovamento di un borsello che si scoprì appartenente al brigatista Lauro Azzolini, identificazione raggiunta attraverso la collaborazione fra più reparti dell'Arma, condusse i militi all'individuazione di un possibile covo, definito "interessante" e situato a Milano, in via Monte Nevoso. In questo covo, che per un po' di tempo non si riuscì ad individuare per un banale errore sul numero civico, e che fu trovato solo il 1° Ottobre, saranno poi incidentalmente scoperti, nel corso di una ristrutturazione nell'appartamento nel 1990 nell'intercapedine vicino ad una finestra, documenti di estrema importanza sul caso Moro.

 

Ma tornando al 1978, entrato nella carica in questo clima, a pochi giorni dall'insediamento il generale incontrò il giornalista Mino Pecorelli, direttore di "OP", che poco tempo prima aveva pubblicato notizie circa presunte fotocopie della trascrizione dell'interrogatorio cui le BR sottomisero Moro ed aveva commentato, suggerendo una possibile influenza di questi atti su alcune scelte politiche: "Le dichiarazioni postume di Moro potrebbero avere un tal peso politico e, al limite, essere talmente gravi nei confronti di alcuni tra i probabili candidati alla Presidenza della Repubblica, da consigliare le segreterie dei partiti a puntare su un candidato laico" (fu eletto il socialista Sandro Pertini). L'incontro, il cui contenuto è ignoto, sarebbe stato procurato, secondo appunti del Pecorelli, dal politico democristiano Carenini, che successivamente dichiarò di non ricordare ma di non poter escludere la circostanza. Un paio di giorni dopo l'incontro, il capo del governo Giulio Andreotti formalizzò la nomina al comando del nucleo antiterrorismo, per una durata prevista dal successivo 10 settembre al 9 Settembre 1979.

 

Nel dicembre del 1978 il giornalista fiorentino Marcello Coppetti si incontrò con Licio Gelli e con un generale del SIOS dell'aeronautica militare, i quali - dichiarò - gli avrebbero confidato, o piuttosto insinuato, che Dalla Chiesa avrebbe in realtà barattato con Andreotti quella nomina: sempre secondo questa voce, come detto de relato, Dalla Chiesa avrebbe appreso tramite un carabiniere infiltrato che le BR sarebbero state in possesso sia di Moro che di materiale definito "compromettente" (per non si sa chi). Coppetti riferì inoltre la "rivelazione" appresa per la quale Dalla Chiesa avrebbe condizionato il recupero di quel materiale alla nomina al nucleo antiterrorismo.

 

Anch'egli piduista, Pecorelli sembrava, come al solito, assai ben informato. Col senno di poi, si può definire inquietante il fatto che nel settembre (sempre di questo drammatico 1978), avesse pubblicato su OP commenti che da molti osservatori sono stati - a posteriori - reputati riferiti a Dalla Chiesa: trattò infatti di un generale dei Carabinieri che, in corso di sequestro, avrebbe informato del luogo di detenzione di Moro il ministro dell'interno (Francesco Cossiga), ma che questi (sempre secondo Pecorelli) non avrebbe potuto decidere da solo e fosse quindi in attesa, diciamo per via gerarchica, di "istruzioni" da parte di ciò che il giornalista denominò cripticamente "loggia di Cristo in Paradiso". Anche il generale era indicato solo con l'appellativo di "Amen", ma di questi Pecorelli scrisse con sicurezza che sarebbe stato ucciso, ed alluse ad un collegamento con le lettere di Moro dalla prigione brigatista. Dalla Chiesa era stato effettivamente chiamato al Viminale (il 22 Marzo, il 10 Aprile ed in altre occasioni) durante le riunioni che Cossiga organizzava fra esperti delle forze di intelligence e di polizia.

 

Il comando del nucleo antiterrorismo di fatto fu investito a più riprese di polemiche e critiche provenienti da ambienti politici esterni all'arco costituzionale, della sinistra estrema e anche, ma più sporadicamente, della destra estrema. Verso lo scadere dell'incarico anche osservatori più moderati si aggiunsero ai critici e Guido Neppi Modona si scagliò (con un certo séguito) dalle pagine de La Repubblica contro il generale per chiedere che non si prorogasse quel comando, a suo dire di indefinibile "collocazione istituzionale" e caso mai espressivo di una politica "delle istituzioni parallele" che si sarebbe servita di "organismi al di fuori della legalità". Alla scadenza l'incarico fu rinnovato, ma stavolta senza termine.

 

Sempre nel 1979 Dalla Chiesa fu nominato comandante della divisione Pastrengo a Milano e lasciò l'incarico agli istituti di pena.

 

Nel 1981, nonostante alcune velenose insinuazioni, con accessorie roventi polemiche, avessero riguardato la scoperta del nome del fratello Romolo, anch'egli generale dell'Arma, negli elenchi della P2, e malgrado le polemiche si fossero spinte al punto da dubitare della genuinità del suo operato, a fine anno divenne comunque vice comandante generale dell'Arma, come già il padre. Le polemiche erano scoppiate violentissime perché solo qualche mese prima della pubblicazione delle liste dei piduisti, Dalla Chiesa era memorabilmente apparso in televisione insieme al comandante generale dei Carabinieri ed al suo vice per rassicurare l'opinione pubblica sulla saldezza e sulla "pulizia" delle istituzioni democratiche. Per soprammercato, proprio nel giorno in cui veniva eseguita la famosa perquisizione di Villa Wanda, fu fatto notare, gli uomini del generale stavano eseguendo una gigantesca operazione in cui sarebbero state arrestate circa 300 persone e fermate e/o indagate altre 2500 e si insinuò addirittura che potesse aver sortito effetti di disturbo sull'altra operazione della Guardia di Finanza. Illazioni ed insinuazioni di vasta portata, ma mai sviluppatesi oltre il rango di illazioni ed insinuazioni, in assenza di prove.

 

Ma nello stesso anno vi fu ancora un altro episodio poco chiaro, che riguardò un consigliere regionale missino del Lazio, Edoardo Formisano (ex segretario personale di Arturo Michelini), che dichiarò alla magistratura di essere stato contattato dal questore di Roma Angelo Mangano, dal poi senatore Claudio Vitalone e da un ufficiale dell'Arma al fine di raccogliere informazioni sul sequestro Moro presso la malavita. Presto attivatosi - così dichiarò - riuscì a stabilire un contatto con Tommaso Buscetta, allora nel carcere di Cuneo, col quale in pratica si sarebbe convenuto di far trasferire un detenuto "fidato" ad altro penitenziario per poter avvicinare soggetti ritenuti utili alle indagini. Il trasferimento - come confermato anche dall'ufficiale, il tenente colonnello Giuseppe Vitali, e dal questore Mangano - sarebbe stato bloccato da Dalla Chiesa che avrebbe escluso categoricamente la possibilità di dar corso all'operazione. Va detto che Formisano fu in seguito condannato per la messinscena del finto attentato a Bettino Craxi del 1978.

 

Dalla Chiesa si assise sulla seconda sedia dell'Arma (il grado più alto cui un Carabiniere potesse pervenire, essendo, a quei tempi, il Comando generale riservato ad ufficiali di altre Armi) e fra le polemiche proseguì il suo lavoro, crescendo la parte pubblica delle sua attività, ma anche consolidandosi la sua immagine di ufficiale efficace ed integerrimo.

 

Interrogato nel febbraio 1982 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, precisamente dal commissario Leonardo Sciascia, dichiarò le sue convinzioni sulle "prime copie" (allora si scriveva a macchina) delle trascrizioni degli interrogatori di Moro prigioniero: fece notare che esse dovevano pur esistere, visto che erano state trovate le seconde copie, ed escluse che potessero trovarsi in qualche covo, ma suggerì che potessero essere in mano di qualcuno che avrebbe "recepito tutto". Mise in evidenza che, nonostante l'evidente importanza di simili documenti e malgrado la relativa esiguità del numero dei componenti le formazioni terroristiche, nessuno dei tanti brigatisti e fiancheggiatori interrogati ne sapeva alcunché od ebbe mai ad accennarne, neanche incidentalmente. Le cosiddette "borse di Moro" non erano mai state trovate. In pratica, pareva dire fra le righe: "qualcuno le ha prese, le BR non le avevano più". Il fatto che parte di questi documenti siano invece poi stati trovati nel covo di via Monte Nevoso (o almeno, vi furono "reperiti" documenti che furono messi in relazione con quelli indicati dal generale e qualche osservatore ha insinuato che ciò non fosse casuale e che i documenti non fossero quelli ritrovati), incrementa la complicazione sull'analisi di queste dichiarazioni, contemporaneamente compatibili con l'ipotesi che Dalla Chiesa stesse mandando messaggi in codice, con l'ipotesi che il generale sapesse bene ove fossero i documenti cercati e compatibili perfino con le insinuazioni che Licio Gelli aveva affidato a Marcello Coppetti (o, per converso, con l'ipotesi di una totale lealtà dell'ufficiale).

 

Il 2 Aprile scrisse al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini che "la corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la famiglia politica più inquinata da contaminazioni mafiose".

 

Il successivo 2 Maggio fu improvvisamente inviato in Sicilia come prefetto di Palermo a combattere l'emergenza mafia. Le indagini sui terroristi furono assegnate ad altri, e di fatto si interruppe la precedente successione di risultati prima di riuscire a fare piena luce su fatti e mandanti.

 

Il 12 Luglio in seconde nozze sposò Emanuela Setti Carraro.

 

A Palermo lamentò più volte la carenza di sostegno da parte dello stato (emblematica la sua amara frase: "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì", città presa come esempio di situazione di lavoro ordinario, non particolarmente difficile), finché fu assassinato dalla mafia.

 

L'assassinio del generale Dalla Chiesa destò molto scalpore, anche per le modalità "militari" con cui fu eseguito.

 

L'8 Marzo del 2003, la corte d'assise di Palermo, presieduta da Claudio Dall'Acqua, ha condannato all'ergastolo Giuseppe Lucchese e Raffaele Ganci, capomafia del quartiere Noce. Si è trattato del terzo processo celebrato per questo delitto: i giudici avevano già condannato all'ergastolo Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo (sentenza divenuta definitiva nel 1995), mentre Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci hanno beneficiato di uno sconto di pena, grazie alla loro collaborazione con la giustizia (14 anni di reclusione per ciascuno).

 

Quest'ultima ricostruzione giudiziaria ha così descritto il delitto: alle ore 21.15 del 3 Settembre del 1982, la A112 bianca sulla quale viaggiava il prefetto, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, fu affiancata, in via Isidoro Carini, a Palermo, da una BMW con a bordo Antonino Madonia e Calogero Ganci. A sparare sarebbe stato Madonia: i colpi furono esplosi con un fucile automatico AK-47.

 

Nello stesso tempo l'auto con a bordo l'autista e agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del prefetto, veniva affiancata da una motocicletta guidata da Pino Greco detto "Scarpuzzedda", che lo freddò. La A112 bianca sbandò e Greco soggiunse a verificare l'esito mortale della sparatoria.

 

Oltre a questi sicari, vi erano sul posto altri criminali "di riserva" che seguivano con un'altra auto pronti a intervenire nel caso di una reazione efficace del Russo, che però non ebbe modo di verificarsi.

 

Le carte relative al sequestro Moro, che Dalla Chiesa aveva portato con sé a Palermo, sparirono dopo la sua morte: non è stato accertato se esse furono sottratte in via Carini oppure se trafugate dagli uffici della prefettura.

 

Dalla Chiesa, non appena insediatosi alla prefettura ed avuta contezza della gravità della situazione della legalità in Sicilia, aveva richiesto al governo italiano, in particolare all'allora ministro democristiano dell'interno Virginio Rognoni, poteri speciali (aggiuntivi) in deroga alla normativa vigente onde poter assumere un controllo o almeno una posizione di coordinamento delle attività investigative dirette alla lotta alla mafia.

 

Questa richiesta era stata resa pubblica dallo stesso prefetto per mezzo di una intervista ad un'importante testata nazionale.

 

Rognoni avrebbe in seguito dichiarato di aver fissato proprio per il 3 settembre, giorno in cui Dalla Chiesa sarebbe stato ucciso, una riunione dei prefetti per conferirgli questi poteri, ma tale riunione, per un impegno in sede europea del ministro, fu rimandata al giorno 7.

 

In seguito i poteri richiesti da Dalla Chiesa saranno conferiti alla nuova carica di Alto Commissario per la lotta alla mafia istituita dopo l' uccisione del prefetto.

 

Dalla Chiesa fu insignito di medaglia d'oro al valore civile alla memoria. Il giorno dei suoi funerali una grande folla protestò contro le presenze politiche accusandole di averlo lasciato solo.

 

La figlia Rita pretese che fossero immediatamente tolte di mezzo le corone di fiori inviate dalla Regione Siciliana (quella che, assieme a tanti amministratori locali, faceva a gara a chi ostacolava maggiormente l'operato di Dalla Chiesa e a chi sbandierava di più il fenomeno mafioso come "pura invenzione dei detrattori della Sicilia").

 

Oltre che fratello del detto generale Romolo, Dalla Chiesa era il padre di Rita, conduttrice televisiva, e di Nando, docente universitario, scrittore e uomo politico, più volte eletto parlamentare, e Simona.

 

Medaglia d'oro al Valor Civile

 

«Già strenuo combattente, quale altissimo Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato Democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere.»

Palermo, 3 Settembre 1982

 

Medaglia d'argento al Valor Militare

«Durante nove mesi di lotta contro il banditismo in Sicilia cui partecipava volontario, dirigeva complesse indagini e capeggiava rischiosi servizi, riuscendo dopo lunga, intensa ed estenuante azione a scompaginare ed a debellare numerosi agguerriti nuclei di malfattori responsabili di gravissimi delitti. Successivamente, scovati i rifugi dei più pericolosi, col concorso di pochi dipendenti, riusciva con azione rischiosa e decisa a catturarne alcuni e ad ucciderne altri in violento conflitto a fuoco nel corso del quale offriva costante esempio di coraggio.»

Sicilia Occidentale, Settembre 1949 - Giugno 1950

Medaglia di bronzo al Valor Civile

 

«Comandante di Legione territoriale accorreva, in occasione di un disastroso movimento sismico, nei centri maggiormente colpiti, prodigandosi per avviare, dirigere e coordinare le complesse e rischiose operazioni di soccorso alle popolazioni. Malgrado ulteriori scosse telluriche, persisteva nella propria infaticabile opera, offrendo nobile esempio di elevate virtù civiche e di attaccamento al dovere.»

Sicilia Occidentale, Gennaio 1968

 

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/7/74/Carloalbertodallachiesa.png/200px-Carloalbertodallachiesa.png http://www.unmondoditaliani.com/data/italianinelmondo/carloalbdallachiesa.jpg http://www.enascoservizi.it/UserFiles/Image/imgEditoriale/settembre%2007/generale-con-moglie.jpg

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Inoltre ti chiedo di riformulare la risposta che mi "avresti" dato perchè non ne ho capito l'inerenza con il mio discorso.

 

 

 

L'Italia l'hanno liberata gli italiani stessi.NO POLITICA PLEASE!

 

 

a quello rispondevo (con il mio parere si intende)

[..] Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.[..] Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.[..] mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».[..] mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
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tutto vero ma la storia di borsellino e falcone (solo per dirne due) insegna che chi si mette contro la mafia viene ucciso e questo secondo me rafforza il pensiero che la mafia sia invulnerabile

 

rispetto il tuo pensiero mister steven...ma quindi?? le forze dell'ordine, magistrati, semplici cittadini o imprenditori che dicono NO!! anche loro rischiano la vita, lo sanno, ma possono camminare a testa alta, tutti questi sono eroi, persone che collaborano, che sanno e che hanno deciso di dire basta; la paura c'è ed è normale, questi bastardi vengono a scovarti ovunque, perseguitano te e la tua famiglia, e spesso anche per questi motivi (per non coinvolgere i propri parenti) che tante persone chinano la testa....ed è sbagliato!! per me è facile dirlo, a parole è tutto piu' facile, ma nel mio piccolo cerco di non essere "mafioso"...questo topic è davvero interessante e la frase di Figotto la piu' appropriata <<Loro non molleremo mai NOI NEPPURE>> :ok:

 

prima era la mafia a dominare in Italia, ora abbiamo le cosche calabresi che sono spaventose, hanno il monopolio della droga (che viene rifornita dai "cartelli" narcos sud-americani) della vendita di armi, gli appalti pubblici (anche del nord) sono spesso pilotati e manipolati etcetc...proprio giovedì ho visto un servizio su Annozero..da brividi

Modificato da Master7
<<Al mondo esistono due categorie di persone: i cattivi e i molto cattivi. Noi abbiamo deciso di chiamare buoni i cattivi, e cattivi i molto cattivi. I problemi dell'umanità nascono quì.>> FRITZ LANG
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rispetto il tuo pensiero mister steven...ma quindi?? le forze dell'ordine, magistrati, semplici cittadini o imprenditori che dicono NO!! anche loro rischiano la vita, lo sanno, ma possono camminare a testa alta, tutti questi sono eroi, persone che collaborano, che sanno e che hanno deciso di dire basta; la paura c'è ed è normale, questi bastardi vengono a scovarti ovunque, perseguitano te e la tua famiglia, e spesso anche per questi motivi (per non coinvolgere i propri parenti) che tante persone chinano la testa....ed è sbagliato!! per me è facile dirlo, a parole è tutto piu' facile, ma nel mio piccolo cerco di non essere "mafioso"...questo topic è davvero interessante e la frase di Figotto la piu' appropriata <<Loro non molleremo mai NOI NEPPURE>> :ok:

 

prima era la mafia a dominare in Italia, ora abbiamo le cosche calabresi che sono spaventose, hanno il monopolio della droga (che viene rifornita dai "cartelli" narcos sud-americani) della vendita di armi, gli appalti pubblici (anche del nord) sono spesso pilotati e manipolati etcetc...proprio giovedì ho visto un servizio su Annozero..da brividi

già,rischiano la vita e secondo me la rischiano inutilmente.

perchè secondo me la mafia bisogna combatterla con le sue armi,con i suoi mezzi.

sei un mafioso? bene,io vengo a casa tua, ti prelevo e tu non esci più dal carcere. perchè ora è troppo facile per i mafiosi

 

comunque sono contento che guardi annozero :ok:

[..] Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.[..] Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.[..] mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».[..] mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
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già,rischiano la vita e secondo me la rischiano inutilmente.

perchè secondo me la mafia bisogna combatterla con le sue armi,con i suoi mezzi.

sei un mafioso? bene,io vengo a casa tua, ti prelevo e tu non esci più dal carcere. perchè ora è troppo facile per i mafiosi

 

ok, certo steven!! ma come fai a combatterla con le armi?? dove sono i mafiosi :mrgreen: non abbiamo un censimento completo "andando quindi a prenderli a casa"....non dire che la rischiano inutilmente, perchè se un mafioso va da tuo zio (faccio un esempio) a chiedere il pizzo e tuo zio paga...è un collaboratore mafioso, deve dire NO!!deve denunciarli, così la combatti!!mica tuo zio puo' seguire il gangester per sapere dove abita e farlo arrestare!!

bisogna poi combattere l'ignoranza assoluta che esiste; i ragazzini che vengono ingaggiati dai criminali per spacciare ad esempio....fanno bene no? vengono pagati tantissimo, hanno moto ed auto gratis, oltre che armi e rispetto!!!!ed è qui' che bisogna far capire loro dove sbagliano, solo ed esclusivamente con le armi non si va da nessun parte!sono finiti i tempi in cui il padrino era un vechio rozzo ignorante che mandava gli scagnozzi in giro, ora sono ovunque, sono l'ombra di attività commerciali, imprenditori e forse anche politici purtroppo!!

 

poi sulle scarcerazioni facili è tutto da discutere, alcune volte vengono effettuati errori assurdi da parte dei magistrati...almeno esiste il 41bis che estenderei a macchia d'olio!!

<<Al mondo esistono due categorie di persone: i cattivi e i molto cattivi. Noi abbiamo deciso di chiamare buoni i cattivi, e cattivi i molto cattivi. I problemi dell'umanità nascono quì.>> FRITZ LANG
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ok, certo steven!! ma come fai a combatterla con le armi?? dove sono i mafiosi :mrgreen: non abbiamo un censimento completo "andando quindi a prenderli a casa"....non dire che la rischiano inutilmente, perchè se un mafioso va da tuo zio (faccio un esempio) a chiedere il pizzo e tuo zio paga...è un collaboratore mafioso, deve dire NO!!deve denunciarli, così la combatti!!mica tuo zio puo' seguire il gangester per sapere dove abita e farlo arrestare!!

bisogna poi combattere l'ignoranza assoluta che esiste; i ragazzini che vengono ingaggiati dai criminali per spacciare ad esempio....fanno bene no? vengono pagati tantissimo, hanno moto ed auto gratis, oltre che armi e rispetto!!!!ed è qui' che bisogna far capire loro dove sbagliano, solo ed esclusivamente con le armi non si va da nessun parte!sono finiti i tempi in cui il padrino era un vechio rozzo ignorante che mandava gli scagnozzi in giro, ora sono ovunque, sono l'ombra di attività commerciali, imprenditori e forse anche politici purtroppo!!

 

poi sulle scarcerazioni facili è tutto da discutere, alcune volte vengono effettuati errori assurdi da parte dei magistrati...almeno esiste il 41bis che estenderei a macchia d'olio!!

:rotfl: :rotfl: hai ragione ma se mio zio dice no! loro gli bruciano la casa e poiu vengono a prendere anche me (così non mi avrete più tra le balle :mrgreen: ).

e poi siamo sicuri che nessuno sappia chi sono i mafiosi? già solo quelli che pagano il pizzo lo sanno. basterebbe che tutti avessero un po' di coraggio...(certo che poi scriverlo e facile) e soprattutto che ci fossero più forze dell'ordine (comunque io manderei l'esercito).

[..] Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.[..] Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.[..] mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».[..] mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
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Ragazzi quel che dite entrambi è giusto, ma Mr Steven per poter combattere le mafie con i loro mezzi penso ci sia bisogno di qualcuno che indaghi e provveda a incarcerarli!

 

Poi pensiamo se non ci fossero stati Falcone e Borsellino, come sarebbe stata l'Italia oggi ed il patrimonio culturale e di valori delle persone perbene?

Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
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a mio modo di vedere il problema è che la mafia e lo stato sono la stessa cosa, a volte prendono dei pesci piccoli, boss ormai consumati o pesci ancora più piccoli, però quando c'è da permettere le indagini su rappresentanti dello stato accusati di mafia, questo fa di tutto per impedirle. Ultimamente abbiamo assistito al riufiuto del governo di concedere l'arresto di Nicola Cosentino, sottosegretario dell'economia accusato da decine di pentiti, e addirittura a Catanzaro sono arrivati a rimuovere il magistrato che indagava sul presidente della regione Calabria. Anche l'informazione fa la sua parte, i giornali e le tv continuano a ripetere che dopo anni di persecuzione Andreotti è stato assolto, quando questa è una menzogna colossale perchè in realtà è stato prescritto e il reato di associazione mafiosa è stato accertato in via definitiva, ma essendosi concluso nel 1980 il reato non è più punibile ma resta il non trascurabile fatto che chi ha governato l'italia per 30 anni faceva accordi con la mafia, infatti l'unica stagione di vera lotta alla mafia l'abbiamo vista quando la DC ha lasciato il posto ai socialisti nel 92/93, questi come si sa rubavano di tutto ma evidentemente non avevavano familiarità con la mafia che per cercare di salvarsi iniziò a mettere bombe dappertutto diventando più simile ad una organizzazione terroristica che mafiosa. poi le bombe smisero di metterle e la mafia tornò ad essere se stessa perchè aveva di nuovo trovato i referenti politici di cui ha estremamente bisogno per sopravvire. Infatti la mafia non sarebbe invulnerabile come ci appare se davvero la si volesse combattere.

Quindi di cosa stiamo parlando? Ogni tanto ne prendono qualcuno per poter dire che la lotta alla mafia si fa ma è solo un teatrino dei pupi.

 

MADNESS TO SURVIVE

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Ragazzi quel che dite entrambi è giusto, ma Mr Steven per poter combattere le mafie con i loro mezzi penso ci sia bisogno di qualcuno che indaghi e provveda a incarcerarli!

 

Poi pensiamo se non ci fossero stati Falcone e Borsellino, come sarebbe stata l'Italia oggi ed il patrimonio culturale e di valori delle persone perbene?

infatti,peccato che non ci sia un magistrato come di pietro che si occupa di mafia.

comunque non e che borsellino e falcone siano le sole persone da cui prendere esempio

 

a mio modo di vedere il problema è che la mafia e lo stato sono la stessa cosa, a volte prendono dei pesci piccoli, boss ormai consumati o pesci ancora più piccoli, però quando c'è da permettere le indagini su rappresentanti dello stato accusati di mafia, questo fa di tutto per impedirle. Ultimamente abbiamo assistito al riufiuto del governo di concedere l'arresto di Nicola Cosentino, sottosegretario dell'economia accusato da decine di pentiti, e addirittura a Catanzaro sono arrivati a rimuovere il magistrato che indagava sul presidente della regione Calabria. Anche l'informazione fa la sua parte, i giornali e le tv continuano a ripetere che dopo anni di persecuzione Andreotti è stato assolto, quando questa è una menzogna colossale perchè in realtà è stato prescritto e il reato di associazione mafiosa è stato accertato in via definitiva, ma essendosi concluso nel 1980 il reato non è più punibile ma resta il non trascurabile fatto che chi ha governato l'italia per 30 anni faceva accordi con la mafia, infatti l'unica stagione di vera lotta alla mafia l'abbiamo vista quando la DC ha lasciato il posto ai socialisti nel 92/93, questi come si sa rubavano di tutto ma evidentemente non avevavano familiarità con la mafia che per cercare di salvarsi iniziò a mettere bombe dappertutto diventando più simile ad una organizzazione terroristica che mafiosa. poi le bombe smisero di metterle e la mafia tornò ad essere se stessa perchè aveva di nuovo trovato i referenti politici di cui ha estremamente bisogno per sopravvire. Infatti la mafia non sarebbe invulnerabile come ci appare se davvero la si volesse combattere.

Quindi di cosa stiamo parlando? Ogni tanto ne prendono qualcuno per poter dire che la lotta alla mafia si fa ma è solo un teatrino dei pupi.

ti do ragione in pieno ma nella politica c'è davvero poca gente seria

[..] Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.[..] Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.[..] mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».[..] mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
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comunque non e che borsellino e falcone siano le sole persone da cui prendere esempio

 

Questo mi sembra fin troppo ovvio e scontato, fortunatamente.

Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
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Ho fatto questo video che spero riprenda lo spirito del topic: http://www.youtube.com/watch?v=xsQGg3xATsY

Chiedo venia se sbaglio a postare.

forse il video non era poi così bello perchè l'autore la cancellato

 

:ph34r: o succede solo a me? :ph34r:

[..] Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.[..] Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.[..] mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».[..] mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
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Ieri sera non appena finito fi vedere io sono leggenda, cambio canale e metto su rai due. Stava santoro che parlava di quello che è successo in calabria, mi sono trovate nel momento in cui discutevano sullo striscione riferito mafia, non ho parole. Il guaio non è che sono loro che non mollano, ma siamo noi che non facciamo nulla per farli mollare.

Ho visto che si parlava di speranza, un tizio in una sua canzone diceva:

 

 

ma la speranza è lultima a morire… chi visse sperando morì non si può dire

Sono tanto semplici gli uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare

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Ieri sera non appena finito fi vedere io sono leggenda, cambio canale e metto su rai due. Stava santoro che parlava di quello che è successo in calabria, mi sono trovate nel momento in cui discutevano sullo striscione riferito mafia, non ho parole. Il guaio non è che sono loro che non mollano, ma siamo noi che non facciamo nulla per farli mollare.

Ho visto che si parlava di speranza, un tizio in una sua canzone diceva:

 

 

ma la speranza è lultima a morire… chi visse sperando morì non si può dire

lo diceva anche lo "slogan" di gears 2 :mrgreen:

ma poi quale speranza? credono che la mafia si estingua da sola?

[..] Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.[..] Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.[..] mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».[..] mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
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ho aspettato tutto il santo giorno, ma niente.

il giorno 19 gennaio non suggerisce niente a nessuno e questo non fa che consolidare la pessima idea che ho della nazione in cui viviamo.

 

Ho passato il weekend sperando che qualcuno se lo ricordasse, che un uomo pubblico spendesse 2 parole in sua memoria o che almeno un saltimbanco da 2 soldi facesse una battuta in TV o su un giornale, ironizzando sulla smemoratezza verso i nostri eroi, ma niente.

 

70 anni fa, il 19-01-1940 nasceva un eroe della patria, un magistrato che ha messo la propia vita a disposizione di noi tutti e l'ha sacrificata nell'utopico tentativo di rendere l'Italia un posto migliore, libero dalle mafie.

 

oggi siamo tutti intenti a celebrare Bottino Craxi, un grande statista in grado di fare grandi cose e bisogna ammettere che alleggerire il borsello di un intera nazione e raddoppiarne il debito pubblico in soli 4 anni di governo non è cosa da tutti, ma chissà perchè, preso da un irrefrenabile ingenuità, credevo che il tempo di celebrarlo avremmo potuto trovarlo ugualmente, ma invece niente.

 

Ho lasciato passare tutto il 19 gennaio pensando di essere uno "sgamato" e invece, oggi che è il 20, mi scopro ingenuo come pochi.

 

Anche se con un giorno di ritardo ti mando il mio buon compleanno Paolo Borsellino, a mia discolpa ti dico che ho passato tutto il 19 pensandoti e sentendomi piccolo piccolo, inutile, inadeguato e molto mal accompagnato visto che qui nessuno si è ricordato di te, e daltronde come avrebbero potuto ricordarsi di un magistrato, impegnati com'erano a celebrare un ladro.

 

 

onde evitare equivoci specifico che quando dico "qui" non mi riferisco al forum ma alla nostra povera patria

 

e vi lascio con alcune sue parole pronunciate il 26-01-1989 che rimangono attualissime anche 21 anni dopo e che forse spiegano come mai oggi è preferibile dimenticarsi di un personaggio di questo genere.

 

L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati.

Modificato da Daunbailò

MADNESS TO SURVIVE

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  • 4 mesi dopo...

Un pò di storia, per non dimenticare

La Strage di Capaci (chiamato in siciliano “l’attentatuni”) fu un attentato mafioso in cui il 23 maggio 1992, sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci (ma in territorio del comune di Isola delle Femmine) e a pochi chilometri da Palermo, persero la vita il giudice antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anch’ella magistrato, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro.

 

Nel tragico attentato sono rimasti miracolosamente illesi altri quattro componenti del gruppo al seguito del magistrato: l’autista giudiziario Giuseppe Costanza (seduto nei sedili posteriori dell’auto blindata guidata da Falcone) e gli agenti Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo.

 

Gli esecutori materiali del delitto furono almeno cinque uomini (tra cui Giovanni Brusca, che fu la persona che fisicamente azionò il telecomando da grande distanza al momento del passaggio dell’auto blindata del giudice, che tornava da Roma), i quali avevano riempito di tritolo un tunnel che avevano scavato sotto l’autostrada (per assicurarsi la buona riuscita del delitto, ne misero circa 500 kg, come punto di riferimento gli attentatori presero un frgoifero bianco posto ai lati della strada) nel tratto che collega l’aeroporto di Punta Raisi (oggi “Aeroporto Falcone-Borsellino”) al capoluogo siciliano. A tutt’oggi sono conosciuti soltanto i nomi degli esecutori materiali della strage, poiché le indagini mirate a scoprire i mandanti ed eventuali intrecci di natura politica non hanno prodotto risultati significativi.

 

La strage di Capaci ha segnato una delle pagine più tragiche della lotta alla mafia ed è strettamente connessa al successivo attentato di cui rimase vittima il giudice Paolo Borsellino, amico e collega di Falcone.

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