Vai al contenuto

Loro non molleranno mai...NOI NEPPURE!


Figotto

Messaggi raccomandati

Buongiorno a tutti amici del forum.

 

Probabilmente la fine di questo topic sarà la chiusura, si perchè probabilmente si finirà col parlare di politica e di esponenti politici, cosa giustamente vietata in questo forum dato che l'argomento scalda molti, innervoscisce e comporta la produzione di flame e attacchi.

 

Voglio dire soltanto che volevo inaugurare un topic, in questo forum, a mio avviso importante per tutti quei ragazzi che oggi e domani costituiscono e costituiranno la società civile italiana e la classe dirigente del futuro.

 

Ormai non ci rimane più niente oltre la speranza.E proprio la speranza sfogata attraverso i sogni, le energie e le forze di noi giovani di oggi e domani devono unirci nel combattere il più spietato dei poteri, il più criminale dei comportamenti, il più vgliacco dei modi di pensa ed agire: la mafia.

 

Ho cercato, ma non ho trovato topic al riguardo, quindi, se possibile, questo topic vuole essere la testimonianza e ulteriore campo di battaglia di noi oppositori della mafia in tutte le sue forme o semplicemente il ricordo di tutti coloro che hanno combattuto e sono caduti coraggiosamente e da veri italiani per contrastare questo sistema e sostegno per chi oggi è ancora vivo e continua questa lotta logorante e pericolosa.

 

Spero che interveniate tutti, utenti moderato e amministratori, per dare il vostro contributo di pensiero e spunti di riflessione e dialogo per coloro che sanno ma non vedono, e coloro che vedono ma non parlano.

 

E' importantissimo e fondamentale, per mantenere in vita questo topic, che nessuno di noi parli giudiziosamente su questo o quel politico indagato o condannato per concussione, associazione mafiosa o rapporti di mafia.Limitiamoci soltanto a riportare i fatti senza dare giudizi politici nel rispetto del regolamento del forum, del pensiero politico di tutti gli utenti e delle opinioni di tutte le persone.

 

Diamo il buon esempio e grazie a tutti voi.

 

 

Per iniziare posto il link di questo video:

 

Guardatelo e parliamo insieme.

 

Poi possiamo organizzarci per raccogliere materiale (documenti, sentenze, storie, episodi personali, foto, audio e video) di chi è morto e ricordare come si è combattuta e si combatte oggi la mafia e quali risultati lo Stato ha ottenuto in questa lotta.

 

Senza mai dimenticare chi si è sacrificato per una Italia legale e pulita, senza dimenticare a chi credeva possibile tutto ciò...sconfiggere il peggiore dei tumori di una società!

 

Il vigliacco muore più volte al giorno, il coraggioso una volta sola. - Giovanni Falcone.

 

Morte di un siciliano per bene: Giuseppe Gatì.

 

Un ragazzo è morto fulminato mentre lavorava. Si chiamava Giuseppe Gatì. A lui ho dedicato il primo post dell'anno. Mi aveva colpito il suo grido disperato a favore del giudice Caselli e del pool antimafia nell'indifferenza e nell'ostilità di decine di persone. Giuseppe fu bloccato, identificato e trattenuto per ore in una stanza. E' stato riportato che la sua morte è dovuta a un incidente e che è stata aperta un'inchiesta. Il blog ne seguirà gli sviluppi.

Mentre scrivo ho in mente le parole della "Canzone del maggio" di Fabrizio De Andrè:

"E se credete ora - che tutto sia come prima - perché avete votato ancora - la sicurezza, la disciplina - convinti di allontanare - la paura di cambiare - verremo ancora alle vostre porte - e grideremo ancora più forte - per quanto voi vi crediate assolti - siete per sempre coinvolti...".

Ieri è stato inserito un commento dedicato a Giuseppe che riporto.

 

"Stamattina Giuseppe Gatì è morto.

Incredibile, vero? Noi l'abbiamo visto con i nostri occhi e ancora non ci crediamo.

Giuseppe è morto mentre lavorava: era andato a prendere il latte da un pastore ed è morto fulminato mentre apriva il rubinetto della vasca refrigerante del latte. E' morto dentro una bettola di legno, sporca.

E' morto un amico, una persona pulita, con sani principi. Chi ha avuto modo di conoscerlo sa che raro fiore fosse.

Voleva difendere la sua terra, non voleva abbandonarla, era rimasto a Campobello di Licata, un paesino nella provincia di Agrigento che offre poco e dal quale è facile scappare. Lavorava nel caseificio di suo padre, con le sue "signorine", le sue capre girgentane, che portava al pascolo. Era un ragazzo ONESTO, con saldi principi volti alla legalità e alla giustizia. Aveva fatto di tutto per coinvolgere i dormienti giovani Campobellesi, affinchè si ribellassero contro questa società sporca e meschina.

Era troppo pulito per vivere in mezzo a questo fetore e a questo schifo.

Aveva urlato "VIVA CASELLI! VIVA IL POOL ANTIMAFIA!" era stato anche criticato per questo, ma aveva smosso queste acque putride e stagnanti che ci stanno soffocando.

Era un ragazzo dolcissimo, dava amore, desiderava amore.

Suo padre oggi ha detto, distrutto dal dolore, in lacrime: "Sono sempre stato orgoglioso di mio figlio, anche se a volte ho dovuto rimproverarlo, solo perchè mi preoccupavo per lui. Ma sono orgoglioso di lui per tutto quello che ha fatto." Giuseppe questo lo sapeva.

Anche noi, Alessia, Alice e tutti i suoi amici siamo orgogliosi di lui. Non sappiamo come esprimere il nostro dolore. Ancora non riusciamo a crederci.

Vi lasciamo con le sue parole:

'E' arrivato il nostro momento, il momento dei siciliani onesti, che vogliono lottare per un cambiamento vero, contro chi ha ridotto e continua a ridurre la nostra terra in un deserto, abbiamo l'obbligo morale di ribellarci'."

 

 

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

In memoria dei nostri eroi.

 

 

Giovanni Falcone(Palermo, 18 Maggio 1939 – Palermo, 23 Maggio 1992) vittima della MAFIA VIGLIACCA.

« Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l'essenza della dignità umana. »

(Giovanni Falcone)

« Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola. »

(Giovanni Falcone)

 

Giovanni Falcone è stato un magistrato italiano, tra i padri della lotta alla mafia, ed è considerato un eroe italiano.

 

Figlio di Arturo Falcone, direttore del Laboratorio chimico provinciale, e di Luisa Bentivegna, aveva due sorelle maggiori, Anna e Maria. Giovanni Falcone studiò al liceo classico "Umberto" e successivamente, dopo una breve esperienza all'Accademia Navale di Livorno, si iscrisse a giurisprudenza all'Università degli Studi di Palermo dove si laureò nel 1961, con una tesi sulla "Istruzione probatoria in diritto amministrativo"

 

Falcone vinse il concorso in Magistratura nel 1964 e per breve tempo fu pretore a Lentini e poi sostituto procuratore a Trapani per dodici anni. Qui, a poco a poco nacque in lui la passione per il diritto penale.

 

Arrivò a Palermo e dopo l'omicidio del giudice Cesare Terranova cominciò a lavorare all'Ufficio istruzione, che sotto la successiva guida di Rocco Chinnici diviene un esempio innovativo di organizzazione giudiziaria. Chinnici chiamò al suo fianco anche Paolo Borsellino e Falcone, al quale affida, nel maggio 1980, le indagini contro Rosario Spatola: un lavoro che coinvolgeva anche criminali negli Stati Uniti e all'epoca osteggiato da alcuni altri magistrati.

 

Alle prese con questo caso, Falcone comprese che per indagare con successo le associazioni mafiose era necessario basarsi anche su indagini patrimoniali e bancarie, per ricostruire il percorso del denaro che accompagnava i traffici ed un quadro complessivo del fenomeno, per evitare la serie di assoluzioni con cui si erano conclusi i precedenti processi contro la mafia.

 

Sono anni tumultuosi che vedono la prepotente ascesa dei Corleonesi, i quali impongono il proprio feudo criminale insanguinando le strade a colpi di omicidi. Emblematici i titoli del quotidiano palermitano L'Ora, che arriverà a titolare le sue prime pagine enumerando le vittime della drammatica guerra di mafia. Tra queste vittime anche svariati e valorosi servitori dello Stato come Pio La Torre, principale artefice della legge Rognoni-La Torre (che introdusse nel codice penale il reato di associazione mafiosa), e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Infine lo stesso Chinnici, al quale succedette Antonino Caponnetto.

 

Caponnetto si insedia concependo la creazione di un "pool" di pochi magistrati che, così come sperimentato contro il terrorismo, potessero occuparsi dei processi di mafia, esclusivamente e a tempo pieno, col vantaggio sia di favorire la condivisione delle informazioni tra tutti i componenti e minimizzare così i rischi personali, che per garantire in ogni momento una visione più ampia ed esaustiva possibile di tutte le componenti del fenomeno mafioso.

 

Nello scegliere i suoi uomini, Caponnetto pensa subito a Falcone per l'esperienza ed il prestigio già da lui acquisiti, ed a Giuseppe Di Lello, pupillo di Chinnici. Lo stesso Falcone suggerì poi l'introduzione di Borsellino, mentre la scelta dell'ultimo membro ricadde sul giudice più anziano, Leonardo Guarnotta. La validità del nuovo sistema investigativo si dimostra da subito indiscutibile, e sarà fondamentale per ogni successiva indagine, negli anni a venire.

 

Ma una vera e propria svolta epocale alla lotta alla mafia sarebbe stata impressa con l'arresto di Tommaso Buscetta, il quale, dopo una drammatica sequenza di eventi, decise di collaborare con la Giustizia. Il suo interrogatorio, iniziato a Roma nel luglio 1984 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro del Nucleo operativo della Criminalpol, si rivelerà determinante per la conoscenza non solo di determinati fatti, ma specialmente della struttura e delle chiavi di lettura dell'organizzazione definita Cosa Nostra.

 

Le inchieste avviate da Chinnici e portate avanti dalle indagini di Falcone e di tutto il pool portarono così a costituire il primo grande processo contro la mafia.

 

Questa reagì bruciando il terreno attorno ai giudici: dopo l'omicidio di Giuseppe Montana e Ninni Cassarà nell'estate 1985, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati, che furono indotti per motivi di sicurezza a soggiornare qualche tempo con le famiglie presso il carcere dell'Asinara (incredibilmente dovettero pagarsi le spese di soggiorno e consumo bevande, come ricordò Borsellino in un'intervista), dove gettarono le basi dell'istruttoria.

 

Ma il 16 Novembre 1987 diventa una data storica e insieme un momento fondamentale per il Paese, che per la prima volta inchioda la mafia traducendola alla Giustizia. Il Maxiprocesso di Palermo sentenzia 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.

 

Nel dicembre 1986, Borsellino viene nominato Procuratore della Repubblica di Marsala e lascia il pool. Come ricorderà Caponnetto, a quel punto gli sviluppi dell'istruttoria includono ormai quasi un milione di fogli processuali, rendendo necessaria l'integrazione di nuovi elementi per seguire l'accresciuta mole di lavoro. Entrarono così a far parte del pool altri tre giudici istruttori: Ignazio De Francisci, Gioacchino Natali e Giacomo Conte.

 

Se lo Stato aveva conseguito una vittoria memorabile, la partita era lungi da considerarsi conclusa. Inoltre, Caponnetto si apprestava a lasciare l'incarico per ragioni di salute, e raggiunti limiti di età. Alla sua sostituzione vennero candidati Falcone, ed Antonino Meli. Nel settembre 1987, dopo una discussa votazione, il Consiglio Superiore della Magistratura nominò Meli. A favore di Falcone, votò anche il futuro Procuratore della Repubblica di Palermo, Giancarlo Caselli.

 

La scelta di Meli, generalmente motivata in base alla mera anzianità di servizio, piuttosto che alla maggiore competenza effettivamente maturata da Falcone, innescò amare polemiche, e venne interpretata come una possibile rottura dell'azione investigativa; Borsellino stesso aveva lanciato a più riprese l'allarme a mezzo stampa, rischiando conseguenze disciplinari; esternazioni che di fatto non sortirono alcun effetto.

 

Meli si insedia nel gennaio 1988 e finisce con lo smantellare il metodo di lavoro intrapreso, riportandolo indietro di un decennio. Da qui in poi Falcone e i suoi dovettero fronteggiare un numero sempre crescente di ostacoli alla loro attività. La mafia intanto non ha abbassato la guardia, ed uccide l'ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco, che aveva denunciato le pressioni subite da Vito Ciancimino durante il suo mandato. Tempo dopo, i due membri del pool Di Lello e Conte si dimisero polemicamente. Non ultimo, persino la Cassazione sconfessò l'unitarietà delle indagini in fatto di mafia affermata da Falcone.

 

Il 30 Luglio Falcone richiese addirittura di essere destinato a un altro ufficio, ma Meli, ormai in aperto contrasto con Falcone, e, come premonizzato da Borsellino, sciolse ufficialmente il pool. Un mese dopo, Falcone ebbe l'ulteriore amarezza di vedersi preferito Domenico Sica alla guida dell'Alto Commissariato per la lotta alla Mafia. Nonostante gli avvenimenti, tuttavia, Falcone proseguì ancora una volta il suo straordinario lavoro, realizzando una importante operazione antidroga in collaborazione con Rudolph Giuliani, allora procuratore distrettuale di New York.

 

Il 21 Giugno 1989, Falcone divenne obiettivo di un attentato presso la sua villa al mare, comunemente detto "attentato dell'Addaura" e sul quale ancor oggi non è stata fatta piena luce.

 

I sicari di Totò Riina e di altri mafiosi ritenuti mandanti, piazzarono un borsone con cinquantotto candelotti di tritolo in mezzo agli scogli, a pochi metri dalla villa del giudice, che stava per ospitare i colleghi Carla del Ponte e Claudio Lehmann. Il piano era probabilmente quello di assassinare il giudice allorché fosse sceso dalla villa sulla spiaggia per fare il bagno, ma l'attentato fallì, probabilmente perché i killer non riuscirono a far esplodere l'ordigno a causa di un detonatore difettoso, dandosi quindi alla fuga e abbandonando il borsone.

 

Falcone dichiarò a riguardo che a volere la sua morte si trattava probabilmente di qualcuno che intendeva bloccarne l'inchiesta sul riciclaggio in corso, parlando inoltre di "menti raffinatissime", e teorizzando la collusione tra soggetti occulti e criminalità organizzata, come avvenuto per l'omicidio Dalla Chiesa. Espressioni in cui molti lessero i servizi segreti deviati. Il giudice, in privato, si manifestò sospettando di Bruno Contrada, funzionario del Sisde che aveva costruito la sua carriera al fianco di Boris Giuliano. Contrada verrà poi arrestato e condannato in primo grado a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, sentenza poi confermata in Cassazione.

 

Ma al Palazzo di Giustizia di Palermo aveva preso corpo anche la nota vicenda del "corvo": una serie di lettere anonime (di cui un paio addirittura composte su carta intestata della Criminalpol), che diffamarono il giudice ed i colleghi Giuseppe Ayala, Giammanco, Prinzivalli più altri come il Capo della Polizia di Stato, Vincenzo Parisi, ed importanti investigatori come De Gennaro e Antonio Manganelli. In esse Falcone veniva millantato soprattutto di avere "pilotato" il ritorno di un pentino, Totuccio Contorno, al fine di sterminare i corleonesi, storici nemici della sua famiglia.

 

I fatti descritti venivano presentati come movente della morte di Falcone ad opera dei corleonesi, i quali avrebbero organizzato il poi fallito attentato come vendetta per il rientro di Contorno (e non, si badi, per i decenni di inflessibile lotta senza quartiere che Falcone aveva scatenato contro di loro...). I contenuti, particolarmente ben dettagliati sulle presunte coperture del Contorno e gli accadimenti all'interno del tribunale, furono alimentati ad arte sino a destare notevole inquietudine negli ambienti giudiziari, tanto che nello stesso ambiente degli informatori di polizia queste missive vennero attribuite ad un "corvo", ossia un magistrato.

 

Sebbene sul momento la stampa non lo spiegasse apertamente al grande pubblico, infatti, tra gli esperti di "cose di cosa nostra" (come Falcone) era risaputo che, nel linguaggio mafioso, tale appellativo designasse proprio i magistrati (dalla toga nera che indossano in udienza); le missive avrebbero così inteso insinuare la certezza che in realtà il pool operasse al di fuori dalle regole, immerso tra invidie, concorrenze e gelosie professionali.

 

Gli accertamenti per individuare gli effettivi responsabili portarono alla condanna in primo grado per diffamazione del giudice Alberto Di Pisa, identificato grazie a dei rilievi dattiloscopici. Le impronte digitali - raccolte con un artificio dal magistrato inquirente - furono però dichiarate processualmente inutilizzabili, oltre a lasciare dubbi sulla loro validità probatoria (sia il bicchiere di carta su cui erano state prelevate le impronte, sia l'anonimo con cui furono confrontate, erano alquanto deteriorati).

 

Una settimana dopo il fallito attentato, il C.S.M. decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica. Di Pisa, che tre mesi dopo davanti al C.S.M. avrebbe mosso gravi rilievi allo stesso Falcone sia sulla gestione dei pentiti che sull'operato, verrà poi assolto in Appello per non aver commesso il fatto.

 

Nell'agosto 1989 iniziò a collaborare coi magistrati anche il mafioso Giuseppe Pellegriti, fornendo preziose informazioni sull'omicidio del giornalista Giuseppe Fava, e rivelando al Pubblico Ministero Libero Mancuso di essere venuto a conoscenza, tramite il boss Nitto Santapaola, di fatti inediti sul ruolo del politico Salvo Lima negli omicidi di Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Mancuso informò subito Falcone, che interrogò il pentito a sua volta, e, dopo due mesi di indagini, lo incrimina insieme ad Angelo Izzo, spiccando nei loro confronti due mandati di cattura per calunnia (poi annullati dal Tribunale della libertà in quanto essi erano già in carcere). Pellegriti, dopo l'incriminazione, ritrattò, attribuendo a Izzo di essere l'ispiratore delle accuse.

 

Lima e la corrente di Giulio Andreotti, erano spregiati dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e tutto il movimento antimafia, e l'incriminazione di Pellegriti venne vista come una sorta di cambiamento di rotta del giudice dopo il fallito attentato, tanto che ricevette nuove e dure critiche al suo operato da parte di esponenti come Carmine Mancuso, Alfredo Galasso e in maniera minore anche da Nando Dalla Chiesa, figlio del compianto generale. Gerardo Chiaromonte, presidente della Commissione Antimafia, scriverà poi, in riferimento al fallito attentato all'Addaura contro Falcone: «I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».

 

Nel gennaio '90, Falcone coordina un'altra importante inchiesta che porta all'arresto di trafficanti di droga colombiani e siciliani. Ma a maggio riesplose, violentissima, la polemica, allorquando Orlando interviene alla seguitissima trasmissione televisiva di Rai 3, Samarcanda dedicata all'omicidio di Giovanni Borsiglione, scagliandosi contro Falcone, che, a suo dire, avrebbe "tenuto chiusi nei cassetti" una serie di documenti riguardanti i delitti eccellenti della mafia. Le accuse erano indirizzate anche verso il giudice Roberto Scarpinato, oltre al procuratore Pietro Giammanco, ritenuto vicino ad Andreotti. Si asseriscono responsabilità politiche alle azioni della cupola mafiosa (il cosiddetto "terzo livello") ma Falcone dissente sostanzialmente da queste conclusioni, sostenendo, come sempre, la necessità di prove certe e bollando simili affermazioni come "cinismo politico".

 

Nel settembre 1991 Salvatore Cuffaro, all'epoca deputato regionale poi presidente della regione Sicilia per il centro-destra ed attualmente eurodeputato UDC, intervenne ad una puntata speciale della trasmissione televisiva Samarcanda condotta da Michele Santoro in collegamento con il Maurizio Costanzo Show e dedicata alla commemorazione dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia. In quella occasione, Cuffaro - presente tra il pubblico - si scagliò con veemenza contro conduttori ed ospiti (tra cui Falcone), sostenendo come le iniziative portate avanti da un certo tipo di "giornalismo mafioso" fossero degne dell'attività mafiosa vera e propria, tanto criticata e comunque lesive della dignità della Sicilia. Cuffaro parlò di certa magistratura "che mette a repentaglio e delegittima la classe dirigente siciliana", con chiaro riferimento a Mannino, in quel momento uno dei politici più influenti della Dc.

 

La polemica sancì la rottura del fronte antimafia, e da allora in poi Cosa Nostra si avvantaggerà della tensione strisciante nelle istituzioni, cosa che avvelenò sempre più il clima attorno a Falcone, isolandolo. Alle seguenti elezioni dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura del 1990, Falcone venne candidato per le liste collegate "Movimento per la giustizia" e "Proposta 88", ma non viene eletto. Fattisi poi via via sempre più aspri i dissensi con Giammanco, Falcone optò per accettare la proposta di Claudio Martelli, allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia ad interim, a dirigere la sezione Affari Penali del ministero.

 

In questo periodo, che va dal 1991 alla sua morte, Falcone fu molto attivo, cercando in ogni modo di rendere più incisiva l'azione della magistratura contro il crimine. Tuttavia, la vicinanza di Giovanni Falcone al socialista Claudio Martelli costò al magistrato siciliano violenti attacchi da buona parte del mondo politico. In particolare, l'appoggio di Martelli fece destare sospetti da parte dei partiti di centro sinistra che fino ad allora avevano appoggiato una possibile candidatura di Falcone.

 

Falcone in realtà profuse tutta la propria professionalità nel preparare leggi che il Parlamento avrebbe successivamente approvato, ed in particolare sulla procura nazionale antimafia.

 

Alcuni magistrati avversarono poi il progetto della Superprocura, denunciando il rischio che essa costituisse paradossalmente un elemento strategico nell'allontanamento di Falcone dal territorio siciliano e nella neutralizzazione reale delle sue indagini.

 

Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone è costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) da Leoluca Orlando. L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole «eresie, insinuazioni» e «un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario». Sempre davanti al CMS Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo, affermò che «non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l'anticamera della verità, è l'anticamera del khoeminismo».

 

In questo contesto fortemente negativo, nel marzo 1992 viene assassinato Salvo Lima, omicidio che rappresenta un importante segnale dell'inasprimento della strategia mafiosa la quale rompe così gli equilibri consolidati ed alza il tiro verso lo Stato per ridefinire alleanze e possibili collusioni. Falcone era stato informato poco più di un anno prima con un dossier dei Carabinieri del Ros che analizzava l'imminente neo-equilibrio tra mafia, politica ed imprenditoria, ma il nuovo incarico non gli aveva permesso di ottemperare ad ulteriori approfondimenti.

 

Il ruolo di "Superprocuratore" a cui stava lavorando avrebbe consentito di realizzare un potere di contrasto alle organizzazioni mafiose sin lì impensabile. Ma ancor prima che egli vi venisse formalmente indicato, si riaprirono ennesime polemiche sul timore di una riduzione dell'autonomia della Magistratura ed una subordinazione della stessa al potere politico. Esse sfociarono per lo più in uno sciopero dell'Associazione Nazionale Magistrati e nella decisione del CSM che per la carica gli oppose inizialmente Agostino Cordova.

 

Sostenuto da Martelli, Falcone rispose sempre con lucidità di analisi e limpidezza di argomentazioni, intravedendo, presumibilmente, che il coronamento della propria esperienza professionale avrebbe definito nuovi e più efficaci strumenti al servizio dello Stato. Eppure, nonostante la sua determinazione, egli fu sempre più solo all'interno delle istituzioni, condizione questa che prefigurerà tristemente la sua fine. Emblematicamente, Falcone ottenne la nomina a Superprocuratore il giorno prima della sua morte.

 

Nell'intervista rilasciata a Marcelle Padovani per "Cose di Cosa Nostra", Falcone attesta la sua stessa profezia: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."

 

Giovanni Falcone muore nella comunemente detta strage di Capaci, il 23 Maggio 1992. Stava tornando, come era solito fare nei fine settimana, da Roma. Il jet di servizio partito dall'aeroporto di Ciampino intorno alle 16:45 arriva a Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Lo attendono quattro autovetture tre Fiat Croma ed una Lancia Thema, gruppo di scorta sotto comando del capo della squadra mobile della Polizia di Stato, Arnaldo La Barbera.

 

Appena sceso dall'aereo, Falcone si sistema alla guida della vettura bianca, ed accanto prende posto la moglie Francesca Morvillo mentre l'autista giudiziario Giuseppe Costanza occupa il sedile posteriore. Nella Croma marrone, c'è alla guida Vito Schifani, con accanto l'agente scelto Antonio Montinaro e sul retro Rocco Di Cillo, mentre nella vettura azzurra ci sono Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Al gruppo è in testa la Croma marrone, poi la Croma bianca guidata da Falcone, e in coda la Croma azzurra. Alcune telefonate avvisano della partenza i sicari che hanno sistemato l'esplosivo per la strage.

 

I particolari sull'arrivo del giudice dovevano essere coperti dal più rigido riserbo; indicativo del clima di sospetto che si viveva nel Paese, è il fatto che nell'aereo di Stato - che lo riportava a Palermo - avevano avuto un passaggio diversi "grandi elettori" (deputati, senatori e delegati regionali) siciliani reduci dagli scrutini di Montecitorio per l'elezione del Capo dello Stato, prolungatisi invano fino al sabato mattina. Uno di essi sarebbe stato addirittura inquisito per associazione a delinquere di stampo mafioso tre anni dopo; ma nessuna verità definitiva fu acquisita in sede processuale sull'identità della fonte che aveva comunicato alla mafia la partenza di Falcone da Roma e l'arrivo a Palermo per l'ora stabilita.

 

Le auto lasciano l'aeroporto imboccando l'autostrada in direzione Palermo. La situazione appare tranquilla, tanto che non vengono attivate neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina si affianca agli spostamenti delle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; sono gli ultimi secondi prima della strage.

 

Otto minuti dopo, alle ore 17:58, presso il Km.5 della A29, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in un tunnel scavato sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine viene azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. Pochissimi istanti prima della detonazione, Falcone si era accorto che le chiavi di casa erano nel mazzo assieme alle chiavi della macchina, e le aveva tolte dal cruscotto, provocando un rallentamento improvviso del mezzo. Brusca, rimasto spiazzato, preme il pulsante in ritardo, sicché l'esplosione investe in pieno solo La Croma marrone, prima auto del gruppo, scaraventandone i resti oltre la carreggiata opposta di marcia, sin su un piano di alberi; i tre agenti di scorta muoiono sul colpo.

 

La seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, si schianta invece contro il muro di cemento e detriti improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio. Falcone e la moglie, che non indossano le cinture di sicurezza, vengono proiettati violentemente contro il parabrezza. Falcone, che riporta ferite solo in apparenza non gravi, muore dopo il trasporto in ospedale a causa di emorragie interne. Rimangono feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra, che infine resiste, e si salvano miracolosamente anche un'altra ventina di persone che al momento dell'attentato si trovano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell'eccidio.

 

La detonazione provoca un'esplosione immane ed una voragine enorme sulla strada. In un clima irreale e di iniziale disorientamento, altri automobilisti ed abitanti dalle villette vicine danno l'allarme alle autorità e prestano i primi soccorsi tra la strada sventrata ed una coltre di polvere.

 

Venti minuti dopo circa, Giovanni Falcone viene trasportato sotto stretta scorta di un corteo di vetture e di un elicottero dell'Arma dei Carabinieri presso l'ospedale Civico di Palermo.Gli altri agenti e i civili coinvolti vengono anch'essi trasportati in ospedale mentre la Polizia Scientifica esegue i primi rilievi ed i Vigili del Fuoco espletano il triste compito di estrarre i cadaveri irriconoscibili di Schifani, Montinaro e Di Cillo.

 

Intanto i media iniziano a diffondere la notizia di un attentato a Palermo, ed il nome del giudice Falcone trova via via conferma. L'Italia intera, sgomenta, trattiene il fiato per la sorte delle vittime con tensione sempre più viva e contrastante, sinché alle 19:05, ad un'ora e sette minuti dall'attentato, Giovanni Falcone muore dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma cranico e delle lesioni interne. Francesca Morvillo morirà anch'essa, poche ore dopo.

 

Due giorni dopo, mentre a Roma viene eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfato, a Palermo si svolgono i funerali delle vittime ai quali partecipa l'intera città, assieme a colleghi e familiari e personalità come Giuseppe Ayala e Tano Grasso. I più alti rappresentanti del mondo politico, come Giovanni Spadolini, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Giovanno Galloni, vengono duramente contestati dalla cittadinanza; e le immagini televisive delle parole e del pianto straziante della vedova Schifani susciteranno particolare emozione nell'opinione pubblica.

 

Il giudice Ilda Boccassini urlerà la sua rabbia rivolgendosi ai colleghi nell'aula magna del Tribunale di Milano: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Nel suo sfogo il magistrato, che si farà trasferire a Caltanissetta per indagare sulla strage di Capaci, ricorderà anche il linciaggio subito dall'amico Falcone da parte dei suoi colleghi magistrati, anche facenti capo alla stessa corrente cui Falcone aderiva: «Due mesi fa ero a Palermo in un'assemblea dell'Anm. Non potrò mai dimenticare quel giorno. Le parole più gentili, specie da Md, erano queste: Falcone si è venduto al potere politico. Mario Almerighi lo ha definito un nemico politico. Ora io dico che una cosa è criticare la Superprocura. Un'altra, come hanno fatto il CSM, gli intellettuali e il cosiddetto fronte antimafia, è dire che Giovanni non fosse più libero dal potere politico. A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l'unica strada possibile, il ministero della Giustizia, per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione». La Boccassini criticherà anche l'atteggiamento dei magistrati milanesi impegnati in Mani pulite: «Tu, Gherardo Colombo, che diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale? Giovanni è morto con l'amarezza di sapere che i suoi colleghi lo consideravano un traditore. E l'ultima ingiustizia l'ha subìta proprio da quelli di Milano, che gli hanno mandato una richiesta di rogatoria per la Svizzera senza gli allegati. Mi ha telefonato e mi ha detto: "Non si fidano neppure del direttore degli Affari penali"».

 

Ilda Boccassini, rincarerà la dose in un'intervista del 2002, nei confronti di personaggi di entrambi gli schieramenti politici sottolineando l'avversione di persone di centro-sinistra come Leoluca Orlando così come di personaggi di centro-destra come l'ex senatore di Forza Italia (2001-2008) Lino Jannuzzi , il quale, quando Falcone si trasferì al ministero, consigliò agli italiani di tenere a portata di mano il passaporto perché stava nascendo, dopo la "cupola" mafiosa di Palermo, un'altra pericolosa "cupola" a Roma".

 

Dopo la sua morte, Leoluca Orlando, commentando l'ostracismo che Falcone subì da parte di alcuni colleghi negli ultimi mesi di vita, dirà: «L'isolamento era quello che Giovanni si era scelto entrando nel Palazzo dove le diverse fazioni del regime stavano combattendo la battaglia finale».

 

All'esecrazione dell'assassinio, il 4 Giugno si unisce anche il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione (la n. 308) intesa a rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente. Intanto, Paolo Borsellino, intraprenderà la sua ultima lotta contro il tempo, che durerà appena altri cinquantotto giorni, indagando nel tentativo di dare giustizia all'amico Giovanni.

 

« Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana. »

(J.F.Kennedy)

Al magistrato, in Sicilia e nel resto d'Italia sono state dedicate molte scuole e strade, nonché una piazza nel centro di Palermo. A Falcone e al suo collega Borsellino è stato dedicato anche l'Aeroporto di Palermo-Punta Raisi. Un albero situato di fronte l'ingresso del suo appartamento, in via Emanuele Notarbartolo a Palermo, raccoglie messaggi, regali e fiori dedicati al giudice: è "l'albero Falcone".

 

Il 23 Gennaio 2008, su proposta del sindaco Walter Veltroni, con una risoluzione approvata all'unanimità dal Consiglio dell'VIII Municipio di Roma, la località Ponte di Nona è stata rinominata Villaggio Falcone in suo onore.

 

Attualmente all'uscita di Capaci, dov'è avvenuto l'attentato, è eretta una colonna che espone i nomi delle vittime di quel maledetto 23 maggio 1992.

 

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/3/3c/Giovanni_Falcone.jpg/200px-Giovanni_Falcone.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/4/42/Falcone_borsellino.jpg/250px-Falcone_borsellino.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/60/Falcone_e_borsellino_murales.JPG/250px-Falcone_e_borsellino_murales.JPG

 

Paolo Borsellino(Palermo, 19 Gennaio 1940 – Palermo, 19 Luglio 1992 ) vittima della MAFIA VIGLIACCA.

« Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola. »

(Paolo Borsellino)

Paolo Emanuele Borsellino è stato un magistrato italiano, vittima di mafia. È considerato un eroe italiano, come Giovanni Falcone, di cui fu amico e collega.

 

Nato a Palermo nel quartiere popolare La Kalsa, in cui vivevano tra gli altri anche Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta, dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo Borsellino si iscrisse al Liceo Classico "Giovanni Meli" di Palermo. Durante gli anni del liceo diventò direttore del giornale studentesco "Agorà". Nel giugno del 1958 si diplomò con ottimi voti e l'11 Settembre dello stesso anno Borsellino si iscrisse a Giurisprudenza a Palermo. Dopo una rissa tra studenti "neri" e "rossi" finì erroneamente anche lui di fronte al magistrato Cesare Terranova, cui dichiarò la propria estraneità ai fatti. Il giudice sentenziò che Borsellino non era implicato nell'episodio.

 

Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra, nel 1959 si iscrisse al FUAN, organizzazione degli universitari missini di cui divenne membro dell'esecutivo provinciale, e fu eletto come rappresentante studentesco nella lista del FUAN "Fanalino" di Palermo.

 

Il 27 Giugno 1962, all'età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su "Il fine dell'azione delittuosa" con relatore il professor Giovanni Musotto. Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, moriva suo padre all'età di cinquantadue anni. Borsellino si impegnò allora con l'ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita. Durante questo periodo la farmacia fu data in gestione per un affitto bassissimo, 120.000 lire al mese, e la famiglia Borsellino fu costretta a gravi rinunce e sacrifici. A Paolo fu concesso l'esonero dal servizio militare poiché "unico sostentamento della famiglia".

 

Nel 1967 Rita si laureò in farmacia, il primo stipendio da magistrato di Paolo servì proprio a pagare la tassa governativa.

 

Il 23 Dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto, figlia di Angelo Piraino Leto, a quel tempo magistrato presidente del tribunale di Palermo.

« L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati. »

(Paolo Borsellino, Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa 26/01/1989)

 

Nel 1963 Borsellino partecipò al concorso per entrare in magistratura ottenendo 57 voti si classifica venticinquesimo sui 110 posti in gara, e divenne il più giovane magistrato d'Italia. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme ad Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri. Proprio qui ebbe modo di conoscere per la prima volta la nascente mafia dei corleonesi.

Il 21 Marzo 1975 fu trasferito a Palermo ed il 14 Luglio entrò nell'ufficio istruzione affari penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con Chinnici si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell'Ufficio, come di "adozione" non soltanto professionale. La vicinanza che si stabilì fra i due uomini e le rispettive famiglie fu intensa e fu al giovane Paolo che Chinnici affidò la figlia, che abbracciava anch'essa quella carriera, in una sorta di tirocinio.

 

In quell'anno si costituì il "pool" antimafia nel quale sotto la guida di Chinnici lavorarono, fra gli altri, alcuni magistrati (Falcone, Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Giovanni Barrile) e funzionari della Polizia di Stato (Cassarà e Montana).

 

Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, separatamente, ognuno "per i fatti suoi", senza che uno scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue potesse consentire, nell'interazione, una maggiore efficacia con un'azione penale coordinata capace di fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità. Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fu la collaborazione fra Borsellino e l'appena "acquisito" Di Lello, che Chinnici aveva voluto e richiesto in squadra: Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero "quasi delle dispense sulla lotta alla mafia". E presto, senza che le note divergenze politiche potessero essere di più che mera materia di battute, anche fra i due il legame professionale si estese all'amicizia personale. Del resto era proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool: come ebbe a dire Guarnotta, si andava ad esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi in quella che era veramente la sua essenza.

 

Nel pool andò formandosi una "gerarchia di fatto", come la chiamò Di Lello, fondata sulle qualità personali di Falcone e Borsellino, tributari di questa leadership per superiori qualità - sempre secondo lo stesso collega - di "grande intelligenza, grandissima memoria e grande capacità di lavoro"; ed i colleghi non l'avrebbero discussa, questa supremazia, anche per il timore di essere sfidati a sostituirli.

 

Tutti i componenti del pool chiedevano espressamente l'intervento dello Stato, che non arrivò. Qualcosa faticosamente giunse nel 1982, a prezzo però di nuovo altro sangue "eccellente", quando dopo l'omicidio del deputato comunista Pio La Torre, il ministro dell'interno Virginio Rognoni inviò a Palermo il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che proprio in Sicilia e contro la mafia aveva iniziato la sua carriera di ufficiale, nominandolo prefetto. E quando anche questi trovò la morte, 100 giorni dopo, nella strage di via Carini, il parlamento italiano riuscì a varare la cosiddetta "legge Rognoni-La Torre" con la quale si istituiva il reato di associazione mafiosa (l'articolo 416 bis del codice penale) che il pool avrebbe sfruttato per ampliare le investigazioni sul fronte bancario, all'inseguimento dei capitali riciclati; era questa la strada che Giovanni Falcone ed i suoi colleghi del pool maggiormente intendevano seguire, una strada anni prima aperta dalle indagini finanziarie di Boris Giuliano (sul cui omicidio investigava il capitano Basile quando a sua volta assassinato) a proposito dei rapporti fra il capomafia Leoluca Bagarella ed il losco finanziere Michele Sindona.

 

Il 29 Luglio 1983 fu ucciso Rocco Chinnici, con l'esplosione di un'autobomba, e pochi giorni dopo giunse a Palermo da Firenze Antonino Caponnetto. Il pool chiese una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 fu arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta("Don Masino", come era chiamato nell'ambiente mafioso), catturato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia, iniziò a collaborare con la giustizia.

 

Buscetta descrisse in modo dettagliato la struttura della mafia, di cui fino ad allora si sapeva ben poco. Nel 1985 furono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l'uno dall'altro, il commissario Giuseppe Montana ed il vice-questore Ninni Cassarà. Falcone e Borsellino furono per sicurezza trasferiti nella foresteria del carcere dell'Asinara, nella quale iniziarono a scrivere l'istruttoria per il cosiddetto "maxiprocesso", che mandò alla sbarra 475 imputati. Si seppe in seguito che l'amministrazione penitenziaria richiese poi ai due magistrati un rimborso spese ed un indennizzo per il soggiorno trascorso.

 

Borsellino chiese ed ottenne (il 19 Dicembre 1986) di essere nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all'anzianità di servizio.

 

Secondo il collega Giacomo Conte la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo rispondeva ad una sua intuizione per la quale l'accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona esponeva non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell'azione contro la mafia, ma anche a quello di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne teneva le fila; questa collocazione, "solo apparentemente periferica", fu secondo questo autore esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza.

 

Di parere difforme fu Leonardo Sciascia, scrittore siciliano, il quale in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera il 10 Gennaio del 1987, si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso", a conclusione di un'esposizione principiata con due autocitazioni. Si tratta della nota polemica sui cosiddetti "professionisti dell'antimafia". Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone, parlando il 25 giugno 1992 ad un dibattito sullo stato della lotta alla mafia dopo la strage di Capaci: "Tutto incominciò con quell'articolo sui professionisti dell'antimafia".

 

Secondo Umberto Lucentini, uno dei suoi biografi, Borsellino si era invece reso conto della crescente importanza delle cosche trapanesi, e di Totò Riina e Bernardo Provenzano, all'interno della rete criminale di Cosa Nostra, che ad esempio intorno a Mazara del Vallo e nel Belice facevano ruotare interessi notevoli che occorreva seguire da vicino.

 

Nel 1987, mentre il maxiprocesso si avviava alla sua conclusione con l'accoglimento delle tesi investigative del pool e l'irrogazione di 19 ergastoli e 2.665 anni di pena, Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si attendevano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura non la vide alla stessa maniera e il 19 Gennaio 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore che il pool stesse per essere sciolto.

 

Borsellino parlò allora in pubblico a più riprese, raccontando quel che stava accadendo alla procura di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate il 20 Luglio 1988 a la Repubblica ed a L'Unità, riferendosi al CSM, dichiarò tra l'altro espressamente: "si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all'Ufficio", "hanno disfatto il pool antimafia", "hanno tolto a Falcone le grandi inchieste", "la squadra mobile non esiste più", "stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa". Per queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare (fu messo sotto inchiesta). A seguito di un intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, si decise almeno di indagare su ciò che succedeva nel palazzo di Giustizia.

 

Il 31 Luglio il CSM convocò Borsellino, il quale rinnovò accuse e perplessità. Il 14 Settembre Antonino Meli, sulla base di una decisione fondata sulla mera anzianità di ruolo in magistratura, fu nominato capo del pool; Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Iniziava in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo, nel frattempo Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì premeva per l'istituzione della Superprocura.

 

Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e l'11 Dicembre 1991 vi ritornò come Procuratore aggiunto, insieme al sostituto Antonio Ingroia.

 

Nel settembre del 1991, la mafia aveva già abbozzato progetti per l'uccisione di Borsellino. A rivelarlo fu Vincenzo Calcara, picciotto della zona di Castelvetrano cui la Cupola Mafiosa, per bocca di Francesco Messina Denaro (capo della cosca di Trapani), aveva detto di tenersi pronto per l'esecuzione, che si sarebbe dovuta effettuare o mediante un fucile di precisione, o con un'autobomba. Assai onorato dell'incarico, che gli avrebbe consentito la scalata di qualche gradino nella gerarchia mafiosa, il mafioso attendeva l'ordine di entrare in azione come cecchino qualora si fosse propeso per questa soluzione. Ma Calcara fu arrestato il 5 Novembre e la sua situazione in carcere si fece assai pericolosa poiché, secondo quanto da lui stesso indicato, aveva in precedenza intrecciato una relazione con la figlia di uno dei capi di Cosa Nostra, uno sbilanciamento del tutto contrario alle "regole" mafiose e sufficiente a costargli la vita; se da latitante poteva ancora essere utilizzato per "lavori sporchi", da carcerato invece gli restava solo la condanna a morte emessa dall'organizzazione. Prima che finisse il periodo di isolamento, Calcara decise di diventare collaboratore di giustizia e si incontrò proprio con Borsellino, al quale, una volta rivelatogli il piano e l'incarico, disse: "lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla". Dopo di ciò, raccontò sempre il pentito, gli chiese di poterlo abbracciare e Borsellino avrebbe commentato: "nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d'onore mi abbracciasse".

 

Il 23 Maggio 1992 nell'attentato di Capaci persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco di Cillo.

 

« Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninnì Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo.

Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano". »

(Paolo Borsellino, intervista a Lamberto Sposini dell'inizio di luglio)

Il 19 Luglio, 57 giorni dopo Capaci, Paolo Borsellino fu ucciso insieme agli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Il pomeriggio, nel corso dell'XI scrutinio delle elezioni presidenziali, i 47 parlamentari del MSI votarono per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica. Una settimana dopo la strage, la giovanissima testimone di giustizia Rita Atria, che proprio per la fiducia che riponeva nel giudice Borsellino si era decisa a collaborare con gli inquirenti pur al prezzo di recidere i rapporti con la madre, si uccise.

 

Diversi pentiti di mafia ritrattarono alcune accuse precedentemente espresse.

 

Borsellino rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare l'isolamento dei giudici e l'incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino descrisse le ragioni che avevano portato all'omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigurò la fine (che poi egli stesso fece) che ogni giudice "sovraesposto" è destinato a fare.

 

Alla presentazione di un libro alla presenza dei ministri dell'interno e della giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico fu chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla "Superprocura"; alla sua risposta negativa Scotti intervenne annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al CSM di riaprire il concorso ed invitandolo formalmente a candidarsi. Borsellino non rispose a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: "dal suo viso trapela una indignazione senza confini"". Rispose al ministro per iscritto, giorni dopo: "La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento".

 

Due mesi prima di essere ucciso, Paolo Borsellino rilasciò un'intervista ai giornalisti Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi (21 Maggio 1992). L'intervista mandata in onda da RaiNews 24 nel 2000 era di trenta minuti, quella originale era invece di cinquanta minuti.

 

 

« All'inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa. Un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all'industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso »

(Paolo Borsellino, in quella intervista)

Nell'intervista (la penultima rilasciata), Borsellino riferì delle possibili correlazioni tra i mafiosi di Cosa Nostra e di ricchi uomini d'affari come il futuro Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. In questa sua ultima intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra la mafia e l'ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Silvio Berlusconi.

 

Alla domanda se fosse Mangano un "pesce pilota" della mafia al Nord, Borsellino rispose che egli era sicuramente una testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia. Sui rapporti con Berlusconi invece si astenne da giudizi definitivi.

 

Anche alla luce di quest'intervista e del ruolo di Mangano così come descritto da Borsellino (testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia) destò scalpore la dichiarazione di Marcello Dell'Utri, condivisa dal presidente del consiglio dei ministri Silvio Berlusconi riferita a Vittorio Mangano: egli fu, a modo suo, un eroe.

 

Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l'intervista trasmessa da RaiNews 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma fu assolto. Vi era corrispondenza tra la cassetta ricevuta ed il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte erano state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di "cavalli in albergo" per indicare un traffico di droga, non si riferiva ad una telefonata fra Dell'Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell'intervistatore (che faceva riferimento ad un'intercettazione dell'inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma ad una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.

 

Nel numero de L'Espresso dell'8 aprile 1994 fu pubblicata una versione più estesa dell'intervista.

 

L'intervista, e i tagli relativi alla sua versione televisiva, furono citati anche dal tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Gaetano Cinà e Marcello Dell'Utri:

 

« Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal dr. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l'indubbio rilievo di un simile documento. »

(Dalla sentenza di condanna di Dell'Utri Pag 431)

Nella sentenza fu poi riportato il brano dell'intervista relativo all'uso del termine "cavalli" per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza era poi riportata l'intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell'Utri, relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un "cavallo", a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell'intervista a Borsellino. La sentenza specificava però che:

 

 

« Tra le telefonate intercettate (il cui tenore aveva consentito di disvelare i loschi traffici ai quali il Mangano si era dedicato in quegli anni) si inserisce quella del 14 febbraio 1980 intercorsa tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri.

È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a "cavalli", termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell'Utri e i diversi personaggi attenzionati dagli investigatori. »

 

Il 19 Luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vive sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo, esplose al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, gravemente ferito.

 

Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in una intervista televisiva a Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

 

Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, "Non c'è più speranza...", intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che "Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell'attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l'abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze".

 

« Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. »

(Lirio Abbate, Peter Gomez)

Nell'introduzione del libro L'agenda rossa di Paolo Borsellino Marco Travaglio scrive:

 

« Oggi, quindici anni dopo, non è cambiato nulla. L'impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d'accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L'agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica. Grazie a questo libro cominciamo a capire qualcosa anche noi »

(Marco Travaglio)

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, parla esplicitamente di "strage di Stato":

 

« Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l'assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D'Amelio come una strage di mafia. [...] Hanno messo in galera un po' di persone - tra l'altro condannate per altri motivi e per altre stragi - e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull'argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell'opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa - televisione e giornali - è caduta in questa chiamiamola "trappola" [...] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente [...] è che questa è una strage di stato, nient'altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell'opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del '92 »

(Salvatore Borsellino)

 

« Io accetto la... ho sempre accettato il... più che il rischio, la... condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli.

Il... la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in... in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.

E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare... dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro. »

(Paolo Borsellino, intervista a Sposini, inizio luglio 1992)

 

La figura di Paolo Borsellino, come quella di Giovanni Falcone, ha lasciato un grande esempio nella società civile e nelle istituzioni.

 

Alla sua memoria sono state intitolate numerose scuole e associazioni, nonché (insieme all'amico e collega) l'aeroporto internazionale "Falcone-Borsellino" (ex "Punta Raisi", Palermo) ed un'aula della facoltà di Giurisprudenza all'Università di Roma La Sapienza.

 

Anche il cinema e la televisione hanno onorato la memoria del magistrato palermitano:

 

  • Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara;
  • I giudici di Ricky Tognazzi;
  • Gli angeli di Borsellino di Rocco Cesareo;
  • Paolo Borsellino, miniserie televisiva del 2004 di Gianluca Maria Tavarelli;
  • Paolo Borsellino - Essendo Stato, scritto e diretto da Ruggero Cappuccio.

 

« Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un'altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili. »

(Antonino Caponnetto, intervista a Gianni Minà, maggio 1996)

Medaglia d'oro al valor civile
«Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.» — Palermo, 19 Luglio 1992

 

http://www.binarioloco.it/wp-content/uploads/2008/03/paolo-borsellino_su_rete_4.jpg http://www.tuttocasarano.it/stor_10833077_10490.jpg http://www.progettolegalita.it/img/fondazione/perche_sostenerci_left.jpg

 

Carlo Alberto Dalla Chiesa (Saluzzo, 27 Settembre 1920 – Palermo, 3 Settembre 1982 ) vittima della MAFIA VIGLIACCA.

Carlo Alberto Dalla Chiesa fu un partigiano, generale e prefetto italiano.

Figlio d'Arma (il padre Romano partecipò alle campagne del Prefetto Mori e nel 1995 sarebbe divenuto vice comandante generale dell'Arma), divenne ufficiale di complemento di fanteria nel 1942, passò all'Arma in servizio permanente effettivo e completò gli studi di giurisprudenza; dopo l'armistizio quasi subito entrò nella Resistenza, operando in clandestinità negli Abruzzi e nelle Marche; vi svolse ruoli di un certo rilievo e nel 1944 partecipò alla presa di Roma con le truppe alleate.

 

Dopo la guerra fu inviato in Campania, avendo per prima destinazione Casoria (comando di Compagnia), dove erano in corso rilevanti operazioni nella lotta al banditismo. Proprio in questa lotta si distinse e nel 1949 fu pertanto inviato su sua richiesta in Sicilia, dove entrò nella formazione delle Forze Repressione Banditismo agli ordini del Generale Ugo Luca, che oltre ad avere a che fare con criminali come il bandito Salvatore Giuliano, si occupava anche di arginare le tensioni separatistiche attizzate dall'EVIS e da altri agitatori, nonché delle relazioni fra queste due pericolose sacche di illegalità; nell'isola comandò il Gruppo Squadriglie di Corleone e svolse ruoli importanti e di grande delicatezza, meritando peraltro una Medaglia d'Argento al Valor Militare.

 

Da Capitano, indagò sulla scomparsa (poi rivelatasi omicidio) del sindacalista Placido Rizzotto, scoprendone il cadavere che era stato abilmente occultato e giungendo ad indagare e incriminare l'allora emergente boss della mafia Luciano Liggio. Il posto di Rizzotto sarebbe stato preso da Pio La Torre, che Dalla Chiesa conobbe in tale occasione e che in seguito fu anch'egli ucciso dalla mafia.

 

Il nome di Dalla Chiesa si sarebbe successivamente legato alle indagini sull'incidente in cui perse la vita il presidente dell'ENI Enrico Mattei, il cui aereo, decollato dalla Sicilia, precipitò mentre si avvicinava all'aeroporto di Linate.

 

Ebbe una parentesi di servizio sul Continente, a Firenze, Como e presso il comando della Brigata di Roma, parentesi però caratterizzata anche da un asserito contrasto con il generale Giovanni De Lorenzo, che era divenuto comandante generale dell'Arma e che l'aveva destinato, ormai tenente colonnello, al comando di istituti di istruzione in Piemonte.

 

Da taluni si sostenne infatti che il trasferimento potesse avere alcunché di punitivo o che comunque si trattasse di un allontanamento di comodo, mentre da altri si ribatté che Giovanni De Lorenzo (che aveva in corso la ristrutturazione integrale della Benemerita) veramente volesse che le Scuole Allievi Carabinieri fossero dirette da ufficiali di vaglia e non più (come invece secondo prassi militare) da ufficiali di scarso valore o puniti. Dalla Chiesa, il cui stato di servizio era effettivamente già ben notevole, era considerato "non sgradito" ad un altro importantissimo esponente dell'Arma, quel Generale Giuseppe Aloja che a De Lorenzo aveva vanamente conteso il comando generale dell'Arma e che si trovava ancora in posizioni più antitetiche che collaborative con il comandante generale.

 

Nel 1964 passò al coordinamento del nucleo di polizia giudiziaria presso la Corte d'Appello di Milano, che poi unificò e diresse come nuovo gruppo.

 

Dal 1966 (curiosamente in coincidenza con l'uscita di De Lorenzo dall'Arma) al 1973 tornò in Sicilia con il grado di colonnello, al comando della legione carabinieri di Palermo. Trasse notevoli risultati dalle sue studiate tecniche di investigazione, assicurando alla Giustizia boss come Gerlando Alberti o Frank Coppola ed iniziando a seguire piste che almeno per sussurro avrebbero aperto al successivo disvelamento delle relazioni fra mafia e politica.

 

Nel 1968 intervenne coi suoi reparti in soccorso delle popolazioni del Belice colpite dal sisma, riportandone una medaglia di bronzo al valor civile per la personale partecipazione "in prima linea" alle operazioni.

 

Nel 1970 svolse indagini sulla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, il quale poco prima aveva contattato il regista Francesco Rosi promettendogli materiale che lasciava intendere scottante sul caso Mattei. Le indagini furono svolte con ampia collaborazione fra i Carabinieri e la Polizia, per la quale erano dirette da Boris Giuliano, anch'egli in seguito ucciso dalla mafia. Giuliano, peraltro, aveva iniziato ad investigare su molti aspetti operativi ed organizzativi della criminalità organizzata, in una fase in cui venivano alla ribalta personaggi come Michele Sindona e divenivano evidenti (o meno nascondibili) i "nessi" con il mondo politico. Le indagini sul De Mauro, però, non sortirono effetti di rilievo.

 

Nel 1973 fu promosso al grado di generale di brigata, nel 1974 divenne comandante della regione militare di nord-ovest, con giurisdizione su Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria.

 

Ad Alessandria, una rivolta dei detenuti che avevano preso degli ostaggi, viene stroncata dal procuratore generale di Torino, Carlo Reviglio Della Veneria e dal generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa che ordinano un attacco militare che si conclude con l’uccisione di due detenuti, di due secondini, del medico del carcere e di una assistente sociale.

 

Dopo aver selezionato dieci ufficiali dell'arma, creò una struttura antiterrorismo (con base a Torino), che nel settembre del 1974 gli consentì di catturare (a Pinerolo) Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco delle Brigate Rosse, grazie anche alla determinante collaborazione di Silvano Girotto, detto "frate mitra".

 

Nel 1977 fu nominato Coordinatore del Servizio di Sicurezza degli Istituti di Prevenzione e Pena; passato generale di divisione, ottenne in seguito (9 Agosto 1978) poteri speciali per diretta determinazione governativa e fu nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo, sorta di reparto operativo speciale alle dirette dipendenze del ministro dell'interno (Virginio Rognoni, che sarebbe restato tale sino a dopo la morte di Dalla Chiesa), creato con particolare riferimento alla lotta alle Brigate Rosse ed alla ricerca degli assassini di Aldo Moro.

 

La concessione di poteri speciali a Dalla Chiesa fu veduta da taluni come pericolosa o impropria (le sinistre estreme la catalogarono come "atto di repressione"), anche per i retaggi sull'opinione pubblica del non tanto remoto periodo buio degli anni Sessanta; ne nacquero polemiche di una certa intensità, via via attenuate e poi smorzate dal ripetersi di brillanti operazioni.

 

Mise in pratica diverse forme di intervento, in particolare sollecitando ed ottenendo dal governo la formalizzazione di un rapporto privilegiato con la collaborazione interna; nacque così la figura giuridica del pentito, che in qualche modo era sempre informalmente coltivata nella Penisola a partire dai passaggi di ordinamenti spagnoleschi. Facendo leva sul pentitismo, ma sfruttando assai anche le infiltrazioni (ed agendo quindi con modalità di intelligence) si scoprì dell'organizzazione terroristica abbastanza per opporvi un efficace contrasto.

 

Il generale ebbe successo anche nell'individuare ed arrestare gli indiziati esecutori materiali degli omicidi di Moro e della sua scorta e nell'assicurare alle patrie galere centinaia e centinaia di fiancheggiatori o presunti tali, rassicurando l'opinione pubblica sulla giustezza delle scelte effettuate e riconsegnando al contempo all'Arma una generalizzata fiducia popolare.

 

Erano passati pochi mesi dall'uccisione dello statista Aldo Moro, e mentre alcuni indiziati (con pubblico scandalo, ma secondo la legge) venivano rimessi in libertà per decorrenza dei termini della custodia cautelare (dandosi poi, in alcuni casi, come quello di Nadia Mantovani, alla latitanza), nelle indagini i Carabinieri parevano aver unito buone deduzioni a qualche inatteso colpo di fortuna; come fu poi meglio reso noto in seguito, il casuale ritrovamento di un borsello che si scoprì appartenente al brigatista Lauro Azzolini, identificazione raggiunta attraverso la collaborazione fra più reparti dell'Arma, condusse i militi all'individuazione di un possibile covo, definito "interessante" e situato a Milano, in via Monte Nevoso. In questo covo, che per un po' di tempo non si riuscì ad individuare per un banale errore sul numero civico, e che fu trovato solo il 1° Ottobre, saranno poi incidentalmente scoperti, nel corso di una ristrutturazione nell'appartamento nel 1990 nell'intercapedine vicino ad una finestra, documenti di estrema importanza sul caso Moro.

 

Ma tornando al 1978, entrato nella carica in questo clima, a pochi giorni dall'insediamento il generale incontrò il giornalista Mino Pecorelli, direttore di "OP", che poco tempo prima aveva pubblicato notizie circa presunte fotocopie della trascrizione dell'interrogatorio cui le BR sottomisero Moro ed aveva commentato, suggerendo una possibile influenza di questi atti su alcune scelte politiche: "Le dichiarazioni postume di Moro potrebbero avere un tal peso politico e, al limite, essere talmente gravi nei confronti di alcuni tra i probabili candidati alla Presidenza della Repubblica, da consigliare le segreterie dei partiti a puntare su un candidato laico" (fu eletto il socialista Sandro Pertini). L'incontro, il cui contenuto è ignoto, sarebbe stato procurato, secondo appunti del Pecorelli, dal politico democristiano Carenini, che successivamente dichiarò di non ricordare ma di non poter escludere la circostanza. Un paio di giorni dopo l'incontro, il capo del governo Giulio Andreotti formalizzò la nomina al comando del nucleo antiterrorismo, per una durata prevista dal successivo 10 settembre al 9 Settembre 1979.

 

Nel dicembre del 1978 il giornalista fiorentino Marcello Coppetti si incontrò con Licio Gelli e con un generale del SIOS dell'aeronautica militare, i quali - dichiarò - gli avrebbero confidato, o piuttosto insinuato, che Dalla Chiesa avrebbe in realtà barattato con Andreotti quella nomina: sempre secondo questa voce, come detto de relato, Dalla Chiesa avrebbe appreso tramite un carabiniere infiltrato che le BR sarebbero state in possesso sia di Moro che di materiale definito "compromettente" (per non si sa chi). Coppetti riferì inoltre la "rivelazione" appresa per la quale Dalla Chiesa avrebbe condizionato il recupero di quel materiale alla nomina al nucleo antiterrorismo.

 

Anch'egli piduista, Pecorelli sembrava, come al solito, assai ben informato. Col senno di poi, si può definire inquietante il fatto che nel settembre (sempre di questo drammatico 1978), avesse pubblicato su OP commenti che da molti osservatori sono stati - a posteriori - reputati riferiti a Dalla Chiesa: trattò infatti di un generale dei Carabinieri che, in corso di sequestro, avrebbe informato del luogo di detenzione di Moro il ministro dell'interno (Francesco Cossiga), ma che questi (sempre secondo Pecorelli) non avrebbe potuto decidere da solo e fosse quindi in attesa, diciamo per via gerarchica, di "istruzioni" da parte di ciò che il giornalista denominò cripticamente "loggia di Cristo in Paradiso". Anche il generale era indicato solo con l'appellativo di "Amen", ma di questi Pecorelli scrisse con sicurezza che sarebbe stato ucciso, ed alluse ad un collegamento con le lettere di Moro dalla prigione brigatista. Dalla Chiesa era stato effettivamente chiamato al Viminale (il 22 Marzo, il 10 Aprile ed in altre occasioni) durante le riunioni che Cossiga organizzava fra esperti delle forze di intelligence e di polizia.

 

Il comando del nucleo antiterrorismo di fatto fu investito a più riprese di polemiche e critiche provenienti da ambienti politici esterni all'arco costituzionale, della sinistra estrema e anche, ma più sporadicamente, della destra estrema. Verso lo scadere dell'incarico anche osservatori più moderati si aggiunsero ai critici e Guido Neppi Modona si scagliò (con un certo séguito) dalle pagine de La Repubblica contro il generale per chiedere che non si prorogasse quel comando, a suo dire di indefinibile "collocazione istituzionale" e caso mai espressivo di una politica "delle istituzioni parallele" che si sarebbe servita di "organismi al di fuori della legalità". Alla scadenza l'incarico fu rinnovato, ma stavolta senza termine.

 

Sempre nel 1979 Dalla Chiesa fu nominato comandante della divisione Pastrengo a Milano e lasciò l'incarico agli istituti di pena.

 

Nel 1981, nonostante alcune velenose insinuazioni, con accessorie roventi polemiche, avessero riguardato la scoperta del nome del fratello Romolo, anch'egli generale dell'Arma, negli elenchi della P2, e malgrado le polemiche si fossero spinte al punto da dubitare della genuinità del suo operato, a fine anno divenne comunque vice comandante generale dell'Arma, come già il padre. Le polemiche erano scoppiate violentissime perché solo qualche mese prima della pubblicazione delle liste dei piduisti, Dalla Chiesa era memorabilmente apparso in televisione insieme al comandante generale dei Carabinieri ed al suo vice per rassicurare l'opinione pubblica sulla saldezza e sulla "pulizia" delle istituzioni democratiche. Per soprammercato, proprio nel giorno in cui veniva eseguita la famosa perquisizione di Villa Wanda, fu fatto notare, gli uomini del generale stavano eseguendo una gigantesca operazione in cui sarebbero state arrestate circa 300 persone e fermate e/o indagate altre 2500 e si insinuò addirittura che potesse aver sortito effetti di disturbo sull'altra operazione della Guardia di Finanza. Illazioni ed insinuazioni di vasta portata, ma mai sviluppatesi oltre il rango di illazioni ed insinuazioni, in assenza di prove.

 

Ma nello stesso anno vi fu ancora un altro episodio poco chiaro, che riguardò un consigliere regionale missino del Lazio, Edoardo Formisano (ex segretario personale di Arturo Michelini), che dichiarò alla magistratura di essere stato contattato dal questore di Roma Angelo Mangano, dal poi senatore Claudio Vitalone e da un ufficiale dell'Arma al fine di raccogliere informazioni sul sequestro Moro presso la malavita. Presto attivatosi - così dichiarò - riuscì a stabilire un contatto con Tommaso Buscetta, allora nel carcere di Cuneo, col quale in pratica si sarebbe convenuto di far trasferire un detenuto "fidato" ad altro penitenziario per poter avvicinare soggetti ritenuti utili alle indagini. Il trasferimento - come confermato anche dall'ufficiale, il tenente colonnello Giuseppe Vitali, e dal questore Mangano - sarebbe stato bloccato da Dalla Chiesa che avrebbe escluso categoricamente la possibilità di dar corso all'operazione. Va detto che Formisano fu in seguito condannato per la messinscena del finto attentato a Bettino Craxi del 1978.

 

Dalla Chiesa si assise sulla seconda sedia dell'Arma (il grado più alto cui un Carabiniere potesse pervenire, essendo, a quei tempi, il Comando generale riservato ad ufficiali di altre Armi) e fra le polemiche proseguì il suo lavoro, crescendo la parte pubblica delle sua attività, ma anche consolidandosi la sua immagine di ufficiale efficace ed integerrimo.

 

Interrogato nel febbraio 1982 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, precisamente dal commissario Leonardo Sciascia, dichiarò le sue convinzioni sulle "prime copie" (allora si scriveva a macchina) delle trascrizioni degli interrogatori di Moro prigioniero: fece notare che esse dovevano pur esistere, visto che erano state trovate le seconde copie, ed escluse che potessero trovarsi in qualche covo, ma suggerì che potessero essere in mano di qualcuno che avrebbe "recepito tutto". Mise in evidenza che, nonostante l'evidente importanza di simili documenti e malgrado la relativa esiguità del numero dei componenti le formazioni terroristiche, nessuno dei tanti brigatisti e fiancheggiatori interrogati ne sapeva alcunché od ebbe mai ad accennarne, neanche incidentalmente. Le cosiddette "borse di Moro" non erano mai state trovate. In pratica, pareva dire fra le righe: "qualcuno le ha prese, le BR non le avevano più". Il fatto che parte di questi documenti siano invece poi stati trovati nel covo di via Monte Nevoso (o almeno, vi furono "reperiti" documenti che furono messi in relazione con quelli indicati dal generale e qualche osservatore ha insinuato che ciò non fosse casuale e che i documenti non fossero quelli ritrovati), incrementa la complicazione sull'analisi di queste dichiarazioni, contemporaneamente compatibili con l'ipotesi che Dalla Chiesa stesse mandando messaggi in codice, con l'ipotesi che il generale sapesse bene ove fossero i documenti cercati e compatibili perfino con le insinuazioni che Licio Gelli aveva affidato a Marcello Coppetti (o, per converso, con l'ipotesi di una totale lealtà dell'ufficiale).

 

Il 2 Aprile scrisse al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini che "la corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la famiglia politica più inquinata da contaminazioni mafiose".

 

Il successivo 2 Maggio fu improvvisamente inviato in Sicilia come prefetto di Palermo a combattere l'emergenza mafia. Le indagini sui terroristi furono assegnate ad altri, e di fatto si interruppe la precedente successione di risultati prima di riuscire a fare piena luce su fatti e mandanti.

 

Il 12 Luglio in seconde nozze sposò Emanuela Setti Carraro.

 

A Palermo lamentò più volte la carenza di sostegno da parte dello stato (emblematica la sua amara frase: "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì", città presa come esempio di situazione di lavoro ordinario, non particolarmente difficile), finché fu assassinato dalla mafia.

 

L'assassinio del generale Dalla Chiesa destò molto scalpore, anche per le modalità "militari" con cui fu eseguito.

 

L'8 Marzo del 2003, la corte d'assise di Palermo, presieduta da Claudio Dall'Acqua, ha condannato all'ergastolo Giuseppe Lucchese e Raffaele Ganci, capomafia del quartiere Noce. Si è trattato del terzo processo celebrato per questo delitto: i giudici avevano già condannato all'ergastolo Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo (sentenza divenuta definitiva nel 1995), mentre Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci hanno beneficiato di uno sconto di pena, grazie alla loro collaborazione con la giustizia (14 anni di reclusione per ciascuno).

 

Quest'ultima ricostruzione giudiziaria ha così descritto il delitto: alle ore 21.15 del 3 Settembre del 1982, la A112 bianca sulla quale viaggiava il prefetto, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, fu affiancata, in via Isidoro Carini, a Palermo, da una BMW con a bordo Antonino Madonia e Calogero Ganci. A sparare sarebbe stato Madonia: i colpi furono esplosi con un fucile automatico AK-47.

 

Nello stesso tempo l'auto con a bordo l'autista e agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del prefetto, veniva affiancata da una motocicletta guidata da Pino Greco detto "Scarpuzzedda", che lo freddò. La A112 bianca sbandò e Greco soggiunse a verificare l'esito mortale della sparatoria.

 

Oltre a questi sicari, vi erano sul posto altri criminali "di riserva" che seguivano con un'altra auto pronti a intervenire nel caso di una reazione efficace del Russo, che però non ebbe modo di verificarsi.

 

Le carte relative al sequestro Moro, che Dalla Chiesa aveva portato con sé a Palermo, sparirono dopo la sua morte: non è stato accertato se esse furono sottratte in via Carini oppure se trafugate dagli uffici della prefettura.

 

Dalla Chiesa, non appena insediatosi alla prefettura ed avuta contezza della gravità della situazione della legalità in Sicilia, aveva richiesto al governo italiano, in particolare all'allora ministro democristiano dell'interno Virginio Rognoni, poteri speciali (aggiuntivi) in deroga alla normativa vigente onde poter assumere un controllo o almeno una posizione di coordinamento delle attività investigative dirette alla lotta alla mafia.

 

Questa richiesta era stata resa pubblica dallo stesso prefetto per mezzo di una intervista ad un'importante testata nazionale.

 

Rognoni avrebbe in seguito dichiarato di aver fissato proprio per il 3 settembre, giorno in cui Dalla Chiesa sarebbe stato ucciso, una riunione dei prefetti per conferirgli questi poteri, ma tale riunione, per un impegno in sede europea del ministro, fu rimandata al giorno 7.

 

In seguito i poteri richiesti da Dalla Chiesa saranno conferiti alla nuova carica di Alto Commissario per la lotta alla mafia istituita dopo l' uccisione del prefetto.

 

Dalla Chiesa fu insignito di medaglia d'oro al valore civile alla memoria. Il giorno dei suoi funerali una grande folla protestò contro le presenze politiche accusandole di averlo lasciato solo.

 

La figlia Rita pretese che fossero immediatamente tolte di mezzo le corone di fiori inviate dalla Regione Siciliana (quella che, assieme a tanti amministratori locali, faceva a gara a chi ostacolava maggiormente l'operato di Dalla Chiesa e a chi sbandierava di più il fenomeno mafioso come "pura invenzione dei detrattori della Sicilia").

 

Oltre che fratello del detto generale Romolo, Dalla Chiesa era il padre di Rita, conduttrice televisiva, e di Nando, docente universitario, scrittore e uomo politico, più volte eletto parlamentare, e Simona.

 

Medaglia d'oro al Valor Civile

 

«Già strenuo combattente, quale altissimo Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato Democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere.»

Palermo, 3 Settembre 1982

 

Medaglia d'argento al Valor Militare

«Durante nove mesi di lotta contro il banditismo in Sicilia cui partecipava volontario, dirigeva complesse indagini e capeggiava rischiosi servizi, riuscendo dopo lunga, intensa ed estenuante azione a scompaginare ed a debellare numerosi agguerriti nuclei di malfattori responsabili di gravissimi delitti. Successivamente, scovati i rifugi dei più pericolosi, col concorso di pochi dipendenti, riusciva con azione rischiosa e decisa a catturarne alcuni e ad ucciderne altri in violento conflitto a fuoco nel corso del quale offriva costante esempio di coraggio.»

Sicilia Occidentale, Settembre 1949 - Giugno 1950

Medaglia di bronzo al Valor Civile

 

«Comandante di Legione territoriale accorreva, in occasione di un disastroso movimento sismico, nei centri maggiormente colpiti, prodigandosi per avviare, dirigere e coordinare le complesse e rischiose operazioni di soccorso alle popolazioni. Malgrado ulteriori scosse telluriche, persisteva nella propria infaticabile opera, offrendo nobile esempio di elevate virtù civiche e di attaccamento al dovere.»

Sicilia Occidentale, Gennaio 1968

 

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/7/74/Carloalbertodallachiesa.png/200px-Carloalbertodallachiesa.png http://www.unmondoditaliani.com/data/italianinelmondo/carloalbdallachiesa.jpg http://www.enascoservizi.it/UserFiles/Image/imgEditoriale/settembre%2007/generale-con-moglie.jpg

Modificato da Figotto
Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
Link al commento
Condividi su altri siti

  • Risposte 76
  • Creato
  • Ultima Risposta

Miglior contributo in questa discussione

Miglior contributo in questa discussione

Topic molto interessante,da vero napoletano non posso che apprezzare discussioni di questo genere.Appena avrò del materiale posterò,La Battaglia è dura,ma non ci fa paura. :rambo: :boxe:

 

Grande, ottimo così. :ok:

 

Mi fa piacere che hai colto quest'iniziativa, avevo paura che il topic non interessasse. :rolleyes:

 

Tra poco io invece posterò del materiale sulla vita degli eroi, i veri eroi italiani che sono morti per un paese pulito e legale..in loro memoria. :ok:

Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
Link al commento
Condividi su altri siti

siamo tutti pedine di un disegno più ampio, anche loro lo sono stati... non c'è niente da fare... il male trionfa...

Non ti angosciar più per quello che hai commesso,le rose hanno spine e fango le argentee fonti;nuvole ed eclissi oscurano luna e sole e nel più bel germoglio s'asconde orrido verme.Ognuno di noi sbaglia ed anch'io m'inganno giustificando le tue offese con analogie,umiliando me stesso per mitigar le tue mancanze,scusando le tue colpe più di quanto sia l'offesa:poiché porto attenuanti ai peccati dei tuoi sensi,la tua parte avversa diventa tuo avvocato ed inizia contro me stesso un regolar processo:tale è la lotta fra il mio amore e l'odio,fatalmente anch'io mi devo render complice di quel caro ladro che inclemente mi deruba
Link al commento
Condividi su altri siti

Questo è un esempio di come agiscono i sicari a napoli, la zona in cui avviene il fatto è Montesanto, vicino Piazza Dante una zona sempre molto affollata Agguato

Modificato da Half Finger

Arrivati a una certa età, si ricorda

sempre un motivo per cui qualcuno vuole il tuo male, e pensi che

abbiano tutti ragione. Però sai che qualcuno dev'essere in malafede.

O forse sono tutti in malafede. Ma quando non riesci più a vederci

chiaro, allora sei nei guai, di brutto. (Carlito's Way)

Link al commento
Condividi su altri siti

Ottima testimonianza Half Finger. :ok:

 

Sono immagini crude e particolarme commuoventi, dolorose nel loro mostrare la realtà...questo non è un film signori, non si vincono Premi Oscar o si riempioni i cinema allo spegnimento della telecamera, questa è la realtà, questa è mafia vigliacca.

 

siamo tutti pedine di un disegno più ampio, anche loro lo sono stati... non c'è niente da fare... il male trionfa...

 

"Per far sì che il male trionfi non c'è bisogno che il bene passi col male, ma è sufficiente che i buoni non facciano nulla." cit. Roberto Saviano.

Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
Link al commento
Condividi su altri siti

10000 anni di storia parlano chiaro... purtroppo è così... chi sceglie di lottare scelgie la morte sociale o fisica... se ci pensi ci arrivi... il fatto è che può valerne la pena... può migliorare le cose... ma non è una strada per tutti... la gente deve seguire un leader... oggi basta oscurare questo leader, impedire che parli, distruggerne l'immagine all'opinione pubblica e la pecora resterà nel suo rassicurante ovile a brulicare... non c'è nessuna speranza... bisonga farsi la propria vita e amen... so che è triste, ma è così... paradossalmente è l'unico modo di essere felici...

Non ti angosciar più per quello che hai commesso,le rose hanno spine e fango le argentee fonti;nuvole ed eclissi oscurano luna e sole e nel più bel germoglio s'asconde orrido verme.Ognuno di noi sbaglia ed anch'io m'inganno giustificando le tue offese con analogie,umiliando me stesso per mitigar le tue mancanze,scusando le tue colpe più di quanto sia l'offesa:poiché porto attenuanti ai peccati dei tuoi sensi,la tua parte avversa diventa tuo avvocato ed inizia contro me stesso un regolar processo:tale è la lotta fra il mio amore e l'odio,fatalmente anch'io mi devo render complice di quel caro ladro che inclemente mi deruba
Link al commento
Condividi su altri siti

10000 anni di storia parlano chiaro... purtroppo è così... chi sceglie di lottare scelgie la morte sociale o fisica... se ci pensi ci arrivi... il fatto è che può valerne la pena... può migliorare le cose... ma non è una strada per tutti... la gente deve seguire un leader... oggi basta oscurare questo leader, impedire che parli, distruggerne l'immagine all'opinione pubblica e la pecora resterà nel suo rassicurante ovile a brulicare... non c'è nessuna speranza... bisonga farsi la propria vita e amen... so che è triste, ma è così... paradossalmente è l'unico modo di essere felici...

 

scusami temperatura quindi dobbiamo rimanere così "nel dolce far nulla" aspettando che qualcuno lo faccia per noi??? sinceramente a per me questo discorso è "molto comodo"!

 

quindi tu ti alzi tutte le mattine e vai al lavoro o a scuola pensando "oggi è come ieri"?

 

allora per me hai sbagliato tutto, io come altra gente si alza e va al lavoro pensando "oggi migliorerò ciò che ho fatto ieri, per me e per i miei cari o i miei figli"

Bellatores.png

Link al commento
Condividi su altri siti

Topic davvero interessante Figotto...c'era gia qualcosa di simile: http://forum.mondoxbox.com/index.php?showt...mp;#entry880818

e tra l'altro c'era un tuo post che proprio non capisco (e che mi aveva dato un po' fastidio a dirti la verità)

 

io cito quanto scritto all'epoca:

 

certo potevano immaginarlo..ma non dare tutto per scontato, in questo paese di merd* in cui NOI tutti subiamo passivamente e favoreggiamo il comportamento di determinate persone è facile dire "e vabbè si sapeva"...che omertà, sai quante persone sono andate alla commemorazione del giudice Borsellino?? forse un centinaio...e sai perchè??siamo governati dalla paura e dall'indifferenza, e fino a quando non reagiremo tutti questi infami bastardi continueranno a fare quello che vogliono...

SOUNDERREGENT non ho nulla contro di te...è la NOSTRA passività che mi spaventa

 

 

e confermo ancora...così come ho scritto per i Talebani in un altro Topic....

Io ho vissuto a Napoli tanti anni, in quella città stupenda viene dato per scontato tutto, troppo....si capiscono tante cose proprio nel momento in cui si vive altrove e piu' in generale "si vive"...

la camorra al disoccupato offre:

- "lavoro"

- senso di protezione

- "difesa"

- tranquillità

 

ma prima di tutto c'è l'ignoranza da sconfiggere e l'omertà oltre che la paura......è un discorso troppo lungo e complicato, non vorrei finire nel politico... :mrgreen:

 

 

<<Al mondo esistono due categorie di persone: i cattivi e i molto cattivi. Noi abbiamo deciso di chiamare buoni i cattivi, e cattivi i molto cattivi. I problemi dell'umanità nascono quì.>> FRITZ LANG
Link al commento
Condividi su altri siti

scusami temperatura quindi dobbiamo rimanere così "nel dolce far nulla" aspettando che qualcuno lo faccia per noi??? sinceramente a per me questo discorso è "molto comodo"!

 

quindi tu ti alzi tutte le mattine e vai al lavoro o a scuola pensando "oggi è come ieri"?

 

allora per me hai sbagliato tutto, io come altra gente si alza e va al lavoro pensando "oggi migliorerò ciò che ho fatto ieri, per me e per i miei cari o i miei figli"

 

 

ma cosa fai tu scusa? a parole tutti sono buoni... se ti scontri con il sistema prendi solo dei calci nel cul.o... dopo un po' ti rompi, non tutti ce la fanno a non farsi spezzare... la maggior parte della gente si adatta, non contesta, si adatta... quelli che contestano prima o dopo sono isolati... io faccio quello che posso nel mio microcosmo... non posso cambiare niente a questi livelli... non ho il potere di cambiare niente... se ne fregano tutti... la gente non èdisposta a rinunciare a niente per un ideale... pensa solo ai soldi e alla propria famiglia... la realtà è questa... siamo tutti divisi... ognuno per se e amen... è così... io ne ho fatte di battaglie... sono nato contestatore... non ho visto cambiare un accidente... va avanti il furbo e l'ipocrita...

Non ti angosciar più per quello che hai commesso,le rose hanno spine e fango le argentee fonti;nuvole ed eclissi oscurano luna e sole e nel più bel germoglio s'asconde orrido verme.Ognuno di noi sbaglia ed anch'io m'inganno giustificando le tue offese con analogie,umiliando me stesso per mitigar le tue mancanze,scusando le tue colpe più di quanto sia l'offesa:poiché porto attenuanti ai peccati dei tuoi sensi,la tua parte avversa diventa tuo avvocato ed inizia contro me stesso un regolar processo:tale è la lotta fra il mio amore e l'odio,fatalmente anch'io mi devo render complice di quel caro ladro che inclemente mi deruba
Link al commento
Condividi su altri siti

Topic davvero interessante Figotto...c'era gia qualcosa di simile: http://forum.mondoxbox.com/index.php?showt...mp;#entry880818

e tra l'altro c'era un tuo post che proprio non capisco (e che mi aveva dato un po' fastidio a dirti la verità)

 

CUT

 

Mi fa piacere che anche a te sia piaciuto questo topic.Sarei ben lieto che anche tu, come altri, possa dare il tuo prezioso e importante contributo. ;)

 

Non ho capito cosa ti ha dato fastidio e cosa non hai capito, se me lo fai notare posso aiutarti a risolvere i dubbi. :ok:

 

10000 anni di storia parlano chiaro... purtroppo è così... chi sceglie di lottare scelgie la morte sociale o fisica... se ci pensi ci arrivi... il fatto è che può valerne la pena... può migliorare le cose... ma non è una strada per tutti... la gente deve seguire un leader... oggi basta oscurare questo leader, impedire che parli, distruggerne l'immagine all'opinione pubblica e la pecora resterà nel suo rassicurante ovile a brulicare... non c'è nessuna speranza... bisonga farsi la propria vita e amen... so che è triste, ma è così... paradossalmente è l'unico modo di essere felici...

 

"Gli uomini passano, le idee restano,e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini. " (G.Falcone)

 

Mi fa strano risponderti solo con citazioni, ma ti assicuro che io rifletto tutti i momenti della mia vita e quella della legalità nel mio paese è solo una delle battaglie che combatto.Ti assicuro soprattutto che capisco benissimo cosa tu intenda e questo non può darmi che profonda tristezza.

 

E' comprensibile quel che dici e le tue parole sicuramente descrivono le cose come stanno, i meccanismi e le dinamiche della nostra realtà e società, fatta solo di interessi personali ed economici, soldi e potere.

 

Pensare che tutto ciò non possa cambiare è avvilente per me, forse tu hai combattuto, hai dato tanto a molte cause, tempo, denaro, sforzi intellettuali e fisici, ma ti sei arreso.

 

Io, a 19 anni, voglio credere che sia possibile sconfiggere tutto il male che imperversa nella nostra società, lo sogno da tempo e continuerò a farlo.Le armi sono la cultura per combattere l'ignoranza, l'informazione obiettiva e leale, la voglia di un'Italia pulita e legale e l'amore.

 

Pertanto io continuerò a combattere, maledicendo il giorno in cui anche io mi renderò conto che non si potrà vincere questa lotta, perchè ciò è impossibile o perchè io non ho combattuto abbastanza.

Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
Link al commento
Condividi su altri siti

Mi fa piacere che anche a te sia piaciuto questo topic.Sarei ben lieto che anche tu, come altri, possa dare il tuo prezioso e importante contributo. ;)

 

Non ho capito cosa ti ha dato fastidio e cosa non hai capito, se me lo fai notare posso aiutarti a risolvere i dubbi. :ok:

 

 

 

"Gli uomini passano, le idee restano,e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini. " (G.Falcone)

 

 

Io, a 19 anni, voglio credere che sia possibile sconfiggere tutto il male che imperversa nella nostra società, lo sogno da tempo e continuerò a farlo.Le armi sono la cultura per combattere l'ignoranza, l'informazione obiettiva e leale, la voglia di un'Italia pulita e legale e l'amore.

 

Pertanto io continuerò a combattere, maledicendo il giorno in cui anche io mi renderò conto che non si potrà vincere questa lotta, perchè ciò è impossibile o perchè io non ho combattuto abbastanza.

 

Figotto dalle tue parole è chiaro che avevo interpretato male (pensavo stessi dando dei "mafiosi" alla magistratura...tutto risolto :mrgreen: )

 

La frase che hai citato è stupenda ai tempi la scelsi come firma perchè credo siano una di quelle frasi che non si dimenticheranno mai...dimostrano quello che sono stati e che hanno fatto consapevoli del loro destino...

 

Vedi Figotto tu hai la possibilità di vivere in un contesto particolare e piu' di altri vivi e convivi con certe situzioni...il mio pensiero partirebbe dalla piu' semplice delle azioni, mi spiego meglio...sono passati ormai quegli anni in cui la criminalità organizzata cercava di intimorire e spaventare il popolino con azioni ed attentati eclatanti (escludendo ovviamente le faide interne che causano decine e dcine di morti tra gli affiliati), ormai credo che si siano evoluti, si dice "che non esiste" quando poi i primi mafiosi siamo "noi" consapovelmente e inconsapevolmente, il semplice comprare cd masterizati, abiti tarocchi, console a metà prezzo dall'amico di turno, profumi scontatissimi, sigarette di contrabbando etcetc...alimentiamo e incrementiamo dei business milionari che sono ormai un monopolio per la criminalità organizzata...a mio aviso bisognerebbe partire dal basso, da queste azioni apparentemente "stupide" per iniziare ad educare...

<<Al mondo esistono due categorie di persone: i cattivi e i molto cattivi. Noi abbiamo deciso di chiamare buoni i cattivi, e cattivi i molto cattivi. I problemi dell'umanità nascono quì.>> FRITZ LANG
Link al commento
Condividi su altri siti

Sono dell'opinione che, per quanto possano essere utili le azioni delle singole persone, ci voglia il SERIO supporto dello stato.

Bisognerebbe dichiarare GUERRA alla mafia, e sto' parlando di guerra in senso stretto. Entrare, se necessario, con i carri armati tra le vele di Scampia, mandare i soldati a fare irruzione nei covi mafiosi.

Ma ciò non basterebbe.

La Mafia non è una semplice associazione a delinquere. La Mafia è un'ideale, proprio come la legalità. Come diceva Master7, la criminalità organizzata offre lavoro e protezione: ma si può dire che lo Stato faccia lo stesso? Bisognerebbe avviare contemporaneamente alla linea dura anche una serie di incentivi: protezione seria per i pentiti, un lavoro a chi lo ha magari perso perchè gli hanno bruciato il negozio, una riqualifica delle infrastrutture (mettere a posto le scuole e gli ospedali PUBBLICI fatiscenti).

Anche il Vaticano dovrebbe uscire dall'ipocrisia (quanti appelli ha fatto il Papa contro la mafia e quanti contro l'aborto?) e dare una mano: la percentuale di credenti al sud (non ho i dati, ma a occhio credo di aver ragione) è molto elevata, e, per dire, la scomunica per chi collabori con la criminalità organizzata sarebbe un segnale veramente forte.

 

Stato, Chiesa e Cittadini dovrebbero collaborare, tutti assieme, per sradicare la mafia una volta per tutte. Purtroppo, però, questa ha delle ramificazioni in tutti e tre i gruppi.

L'unica è lottare per un mondo migliore, facendo scelte oculate una volta alle urne.

GRAZIE A DIO SONO AGNOSTICO

Link al commento
Condividi su altri siti

Figotto dalle tue parole è chiaro che avevo interpretato male (pensavo stessi dando dei "mafiosi" alla magistratura...tutto risolto :mrgreen: )

 

La frase che hai citato è stupenda ai tempi la scelsi come firma perchè credo siano una di quelle frasi che non si dimenticheranno mai...dimostrano quello che sono stati e che hanno fatto consapevoli del loro destino...

 

Vedi Figotto tu hai la possibilità di vivere in un contesto particolare e piu' di altri vivi e convivi con certe situzioni...il mio pensiero partirebbe dalla piu' semplice delle azioni, mi spiego meglio...sono passati ormai quegli anni in cui la criminalità organizzata cercava di intimorire e spaventare il popolino con azioni ed attentati eclatanti (escludendo ovviamente le faide interne che causano decine e dcine di morti tra gli affiliati), ormai credo che si siano evoluti, si dice "che non esiste" quando poi i primi mafiosi siamo "noi" consapovelmente e inconsapevolmente, il semplice comprare cd masterizati, abiti tarocchi, console a metà prezzo dall'amico di turno, profumi scontatissimi, sigarette di contrabbando etcetc...alimentiamo e incrementiamo dei business milionari che sono ormai un monopolio per la criminalità organizzata...a mio aviso bisognerebbe partire dal basso, da queste azioni apparentemente "stupide" per iniziare ad educare...

 

Quello che dici è tutto esatto, dovrebbe proprio essere l'esatto comportamento del cittadino, soprattutto qui al sud, che non vuole in alcun modo aiutare quei poteri balordi.Non so però nella realtà quanto ciò possa essere attuato perchè soprattutto in certi quartieri c'è una totale assenza dello Stato attraverso le scuole, il controllo del territorio e la mancanza di lavoro.

 

Prendiamo l'esempio di un parcheggiatore abusivo, quel che posso guadagnare sicuramente cerco di investirlo per comprare vestiti alla mia famiglia al mercato, se qualcuno ha il vizio di fumare risparmio 2 euro e compro le sigarette di contrabbando anzichè dal tabaccaio, a mia figlia piace Sal Da Vinci, le compro i cd masterizzati sulla bancarella a 3 euro.

 

E' tutto così maledettamente difficile, io posso permettermi di non collaborare alle attività mafiose (anche se l'ho fatto), ma bisogna anche immedesimarsi in alcuni strati sociali e categorie che vivono disagiatamente.E se vai spiegare loro le nostre ragioni, sicuramente come risposta ci prenderemo dei sonanti calci nel sedere.

 

 

Sono dell'opinione che, per quanto possano essere utili le azioni delle singole persone, ci voglia il SERIO supporto dello stato.

Bisognerebbe dichiarare GUERRA alla mafia, e sto' parlando di guerra in senso stretto. Entrare, se necessario, con i carri armati tra le vele di Scampia, mandare i soldati a fare irruzione nei covi mafiosi.

Ma ciò non basterebbe.

 

Capisco che spesso abbiamo rabbia nei confronti di queste cose e ti dico che sono d'accordo con quel che dici, però hai idea di cosa comporterebbe ciò?

 

Secondigliano, quartiere di 200.000 abitanti (esclusi i clandestini...ci abita pure la mia ragazza) è una città, enorme.Le vele di Scampia sorgono proprio a Secondigliano e su 200.000 persone molte di queste possono ritenersi persone perbene, medici, avvocati, professionisti, professori, operai, artigiani e qualsiasi mestiere non direttamente legato ad attività mafiose.Come si proteggerebbero tutti questi migliaia di cittadini onesti, umili e lavoratori con una guerra?

 

Poi la vigliacchieria della mafia, oltre a violentare e stuprare il proprio territorio, sta appunto nel servirsi delle persone comuni, perchè tutti avremmo paura.Se ci fosse un fronte chiaro e delineato allora la tua soluzione mi parrebbbe la migliore possibile, se io conosco chi è il mio nemico e so dov'è di sicuro essendo uno Stato non avrei alcun timore di farlo fuori e dubbio di vincere questa guerra.

 

Ma il nemico è tra noi, c'è chi sa ma non parla, chi non sa e sono pochi che sanno e parlano.

 

Più ovvio sarebbe invece il preciso, costante e impegnato volere dello stato di investire in certi territori e luoghi, farsi sentire come presenza attraverso le scuole, gli uffici pubblici, le caserme e questure e soprattutto il lavoro.Se io ho un lavoro che mi permette di vivere dignitosamente (assicurando un tetto e il piatto a tavola ai miei familiari) di certo non rischio la galera o la morte per affiliarmi ad un'organizzazione criminale e illegale.

 

La Mafia non è una semplice associazione a delinquere. La Mafia è un'ideale, proprio come la legalità. Come diceva Master7, la criminalità organizzata offre lavoro e protezione: ma si può dire che lo Stato faccia lo stesso? Bisognerebbe avviare contemporaneamente alla linea dura anche una serie di incentivi: protezione seria per i pentiti, un lavoro a chi lo ha magari perso perchè gli hanno bruciato il negozio, una riqualifica delle infrastrutture (mettere a posto le scuole e gli ospedali PUBBLICI fatiscenti).

Anche il Vaticano dovrebbe uscire dall'ipocrisia (quanti appelli ha fatto il Papa contro la mafia e quanti contro l'aborto?) e dare una mano: la percentuale di credenti al sud (non ho i dati, ma a occhio credo di aver ragione) è molto elevata, e, per dire, la scomunica per chi collabori con la criminalità organizzata sarebbe un segnale veramente forte.

 

Stato, Chiesa e Cittadini dovrebbero collaborare, tutti assieme, per sradicare la mafia una volta per tutte. Purtroppo, però, questa ha delle ramificazioni in tutti e tre i gruppi.

L'unica è lottare per un mondo migliore, facendo scelte oculate una volta alle urne.

 

I miei più sinceri complimenti, onestamente non avevo pensato a questa ipotesi che non mi sembra affatto male.

 

L'unico dubbio può sorgermi pensando che in quegli stessi quartieri l'unica istituzione presente sul territorio è rimasta la Chiesa Cattolica presente attraverso le proprie parrocchie che si occupano dei poveri del quartiere e di accogliere bambini o ragazzi dei quartieri disagiati per non farli crescere in mezzo la violenta strada.Sono rimasti solo i preti, le missionarie e le suore di buona volontà che danno anima e corpo per difendere l'ultimo baluardo rimasto tra la moralità e la completa Sodoma e Gomorra che sarebbe senza essi.Purtroppo sono solo un palliativo, ma senza loro, e lo dico da non cattolico, saremmo davvero persi nel buio e nel terrore più totali.

 

E' anche per voi a cui interessa il problema, cercate di capirlo senza pregiudizi o i soliti giudizi ignoranti di chi presuntuosamente crede di poter parlare senza conoscere, grazie ai carabinieri, poliziotti, finanzieri, magistrati, scrittori e "ribelli" che c'è ancora la forza di sperare e la voglia di continuare a combattere.Grazie di cuore ragazzi. :ok:

Modificato da Figotto
Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
Link al commento
Condividi su altri siti

Ha ragione temperatura, la maggior parte di voi, sono ragazzi ventenni, che credono ancora in qualcosa (e fate bene), io sono un esempio, nel mio piccolo ho lottato e mi si veniva detto questo è il mondo qua se ti va bene è ok altrimenti prendi altre strade. Questo è un esempio che vi faccio a livello lavorativo, non sono stato al loro gioco, col c...a, che prendevo 500 euro per 9 ore al giorno, alla fine ho fatto la scelta di spostarmi al nord. Questo a livello lavorativo, ma che nel complesso rispecchia il sociale, del meridione. Magari a Nord escono altri problemi, ma credimi, sono molto ma molto inferiori a noi meridionali.

 

Alla fine aspettiamo ancora questo qua :

 

Molti son li animali a cui s'ammoglia

e più saranno ancora, infin che'l veltro

verrà, che la farà morir con doglia.

Questi non ciberà terra né peltro,

ma sapïenza, amore e virtute,

e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

Di quella umile Italia fia salute

per cui morì la vergine Cammilla,

Eurialo e Turno e Niso di ferute.

Questi la caccerà per ogne villa

fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno

là ove 'nvidia prima dipartilla.

Modificato da Nicola

Sono tanto semplici gli uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare

Link al commento
Condividi su altri siti

io a dire il vero sono ultratrentenne... ho capito che non ho il potere di cambiare delle cose così grandi... osservo e nel mio piccolo cerco di essere coerente... ma un cambiamento non può partire da me... dovrei vederlo nella società... io non lo vedo... non so se c'è nelle università, nei luoghi di ritrovo dei giovani... penso che qualcosa si veda adesso, la mia generazione di sicuro non pensava alla politica, a cambiare le cose... non c'era neanche questo pessimismo... questa decadenza... quella di oggi è invece nel pieno delle merd.a e mi pare troppo apatica... veramente troppo... ma la mia era peggio secondo me... però è vero che non c'erano questi problemi, questa consapevolezza di essere in un sistema che sta andando verso l'inesorabile fine, non c'era internet...

Non ti angosciar più per quello che hai commesso,le rose hanno spine e fango le argentee fonti;nuvole ed eclissi oscurano luna e sole e nel più bel germoglio s'asconde orrido verme.Ognuno di noi sbaglia ed anch'io m'inganno giustificando le tue offese con analogie,umiliando me stesso per mitigar le tue mancanze,scusando le tue colpe più di quanto sia l'offesa:poiché porto attenuanti ai peccati dei tuoi sensi,la tua parte avversa diventa tuo avvocato ed inizia contro me stesso un regolar processo:tale è la lotta fra il mio amore e l'odio,fatalmente anch'io mi devo render complice di quel caro ladro che inclemente mi deruba
Link al commento
Condividi su altri siti

Purtroppo e dico purtroppo, attenzione ho detto purtroppo, sono d'accordo con Temperatura e non con Saviano. E vi spiego il perchè.

Se vedo sento o faccio parte di qualcosa che non va, anche in ambito lavorativo, se denuncio, se parlo, se protesto, vengo eliminato,licenziato o ucciso.

Chi si fa li c***i sua torna sano a casa sua.....purtroppo. Mi inchino togliendo il cappello davanti a Falcone, Borsellino, e tutte le vittime della malavita in generale, non solo mafia. Non sono d'accordo con la frase di Saviano, perchè io domani mattina alle 7.00 potrei mettere su "famiglia".Sono disoccupato,mio padre sta morendo, che ho da perdere? Potrei iniziare a spacciare e rubare, poi pian piano.....Invece non lo farò mai.Sono stato anche autotrasportatore in proprio, e ho sempre pagato le tasse, e non ho mai rubato un bottone, e non ho mai litigato o pestato nessuno. Secondo Saviano se io non faccio nulla la mafia ha già vinto o vincerà; non sono d'accordo, perchè quello che faccio da persona onesta non è "nulla". Forse è poco, so che non basta, ma io non avrò mai una "famiglia", ma solo una famiglia, senza le virgolette. Se uno mi offre 300 euri per stare un'ora a fare il palo e rifiuto, non è nulla, è che ho scelto da che parte stare. Certo potrei anche denunciare il fatto alla polizia, ma così sceglierei di rovinarmi la vita......

Link al commento
Condividi su altri siti

Purtroppo e dico purtroppo, attenzione ho detto purtroppo, sono d'accordo con Temperatura e non con Saviano. E vi spiego il perchè.

Se vedo sento o faccio parte di qualcosa che non va, anche in ambito lavorativo, se denuncio, se parlo, se protesto, vengo eliminato,licenziato o ucciso.

Chi si fa li c***i sua torna sano a casa sua.....purtroppo. Mi inchino togliendo il cappello davanti a Falcone, Borsellino, e tutte le vittime della malavita in generale, non solo mafia. Non sono d'accordo con la frase di Saviano, perchè io domani mattina alle 7.00 potrei mettere su "famiglia".Sono disoccupato,mio padre sta morendo, che ho da perdere? Potrei iniziare a spacciare e rubare, poi pian piano.....Invece non lo farò mai.Sono stato anche autotrasportatore in proprio, e ho sempre pagato le tasse, e non ho mai rubato un bottone, e non ho mai litigato o pestato nessuno. Secondo Saviano se io non faccio nulla la mafia ha già vinto o vincerà; non sono d'accordo, perchè quello che faccio da persona onesta non è "nulla". Forse è poco, so che non basta, ma io non avrò mai una "famiglia", ma solo una famiglia, senza le virgolette. Se uno mi offre 300 euri per stare un'ora a fare il palo e rifiuto, non è nulla, è che ho scelto da che parte stare. Certo potrei anche denunciare il fatto alla polizia, ma così sceglierei di rovinarmi la vita......

 

Le tue scelte di vita e la coerenza nell'essere una persona legale e già votata ad una vita onesta e umilmente lavoratrice fanno di te una grande persona e ti danno onore.

 

Anche per Saviano tu non saresti "fermo" ma contribuisci attivamente al bene. :ok:

 

Forse non hai interpretato bene la sua frase, che è questa:

 

Affinchè il male trionfi non serve che i buoni si alleino con il male, ma è sufficiente che i buoni non facciano nulla e stiano fermi.

 

Questa è un chiaro riferimento alla frase di Edmund Burke:

 

La sola cosa necessaria affinchè il male trionfi è che gli uomini buoni non facciano nulla.

 

 

Il senso della frase è chiaro da parte dello scrittore napoletano: invoca coloro che hanno a cuore la propria terra a non collaborare, farsi sottomettere, nascondere, difendere e giustificare gli esponenti mafiosi e svegliarsi dalla convinzione che sono la sola possibilità di vita che hanno, dato che, è vero che lo Stato dorme beatamente, ma la camorra li usa e li spolpa fino all'ultima risorsa che possono costituire per poi fregarsene che muoiano avvelenati, uccisi, etc...

 

http://www.romagnaoggi.it/cronaca/2009/9/24/137073/

Che schifo. Dov'era la Polizia (sia nel caso siano stati costretti a scappare, sia siano stati fatti sparire)?

 

Fatto strano e misterioso, assurdo avvengano certe cose. :rolleyes:

Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
Link al commento
Condividi su altri siti

Prendiamo l'esempio di un parcheggiatore abusivo, quel che posso guadagnare sicuramente cerco di investirlo per comprare vestiti alla mia famiglia al mercato, se qualcuno ha il vizio di fumare risparmio 2 euro e compro le sigarette di contrabbando anzichè dal tabaccaio, a mia figlia piace Sal Da Vinci, le compro i cd masterizzati sulla bancarella a 3 euro.

 

E' tutto così maledettamente difficile, io posso permettermi di non collaborare alle attività mafiose (anche se l'ho fatto), ma bisogna anche immedesimarsi in alcuni strati sociali e categorie che vivono disagiatamente.E se vai spiegare loro le nostre ragioni, sicuramente come risposta ci prenderemo dei sonanti calci nel sedere.

 

Secondigliano, quartiere di 200.000 abitanti (esclusi i clandestini...ci abita pure la mia ragazza) è una città, enorme.Le vele di Scampia sorgono proprio a Secondigliano e su 200.000 persone molte di queste possono ritenersi persone perbene, medici, avvocati, professionisti, professori, operai, artigiani e qualsiasi mestiere non direttamente legato ad attività mafiose.Come si proteggerebbero tutti questi migliaia di cittadini onesti, umili e lavoratori con una guerra?

 

Poi la vigliacchieria della mafia, oltre a violentare e stuprare il proprio territorio, sta appunto nel servirsi delle persone comuni, perchè tutti avremmo paura.Se ci fosse un fronte chiaro e delineato allora la tua soluzione mi parrebbbe la migliore possibile, se io conosco chi è il mio nemico e so dov'è di sicuro essendo uno Stato non avrei alcun timore di farlo fuori e dubbio di vincere questa guerra.

 

Ma il nemico è tra noi, c'è chi sa ma non parla, chi non sa e sono pochi che sanno e parlano.

 

Vedi Figotto?? prorpio quello che volevo intendere poco prima...tu hai fatto un esempio, "il parcheggiatoe abusivo" ed è qui che "sbagli" :mrgreen:...il parcheggiatore abusivo che per me, per te, per un Napoletano (dico questo perchè parliamo della Nostra città e non solo) è quasi un dato di fatto, una normalità...invece questa "figura" non puo' e non DEVE ESISTERE......perchè in qualsiasi città che si rispetti una persona del genere verrebbe portata dentro subito, ma a Napoli NO, a Napoli è normale che ci siano cazz*....non so se rendo l'idea; il povero ragazzo che arriva e paga i 2 euro all'abusivo per non avere graffi sull'auto o una ruota in meno, collabora con la "mafia" abbassando il capo e sottomettendosi al parcheggiatore....E' ASSURDO!!

gia questi atteggiamenti a mio avviso violenti fanno capire tante cose;

io invece di giustificare il parcheggiatore abusivo come hai fatto tu (Figotto non ti sto venendo contro è solo per rendere meglio il discorso :ok: ovvio che non giustificavi nessuno ma si trattava di un esempio) avrei detto: - il disoccupato che non riesce a trovar lavoro e che spesso si ritrova con le spalle al muro con l'incombenza di portare avanti una famiglia, che si sposti altrove (in un'altra città, al nord, all'estero) e vada a lavorare per portare a casa il pane....non pensi? perchè coltivare l'arte dell'arrangiarsi.....che facciano come me, come Nicola, come tantissimi che scappano dal Sud!!

per sconfiggere la mafia o camorra/ndrangeta che sia...bisogna partire dal basso, dalla routine e cambiare il concetto di normalità in tanti piccoli comportamenti!!

 

----

 

«Mafia è una parola rara e banalizzata, bisogna maledirla per copione e poi dimenticarla in fretta per andare avanti con comizi che devono sempre occuparsi d’altro». Poi aggiunge:<<L’hanno formattizzata, diventa un punto in scaletta, per condire l’introduzione del discorso come i saluti di circostanza...>>

 

(citazione da un articolo di un quotidiano)[/i]

 

che dire...posso solo dare atto a quanto citato...

 

 

Modificato da Master7
<<Al mondo esistono due categorie di persone: i cattivi e i molto cattivi. Noi abbiamo deciso di chiamare buoni i cattivi, e cattivi i molto cattivi. I problemi dell'umanità nascono quì.>> FRITZ LANG
Link al commento
Condividi su altri siti

Per riuscire a sconfiggere un nemico è di fondamentale importanza conoscerlo, solo così possiamo avere un'idea di cosa a cui ci troviamo di fronte, comprendere le dinamiche e i meccanismi con i quali un'organizzazione criminale locale, nazionale ed internazionale opera e si arricchisce ci dà un enorme vantaggio elevandoci dalla condizione di "ignoranza" nella quale ci troveremmo altrimenti o, al limite, ci pone sul campo di battaglia allo stesso livello e in modo eguale al nostro nemico.

 

Solo quando avremo gli elementi necessari e sufficienti affinchè potremmo sapere cosa ci apprestiamo a combattere, solo tanto possiamo vedere, finalmente, la vittoria.

 

Nel corso della mia esperienza di giovane che ha vissuto amando profondamente il proprio territorio, ha viaggiato ed ha conosciuto persone e ragazzi di tutta Italia è capitato di imbastire discorsi legati alla criminalità organizzata, il maggiore argomento di interesse nei miei confronti per chi non vive quotidianamente la realtà della mafia.Da qui sono sia nate discussioni molto profonde, interessanti e chiarificatrici sia infuocati dibattiti e litigi minati alla base da razzismo, ignoranza e pregiudizi ingiustificati.

 

Il seguente documentario cerca di spiegare in modo "facile" cosa è la Camorra e come si presenta oggi in Campania attraverso la sua struttura e la sua storia nell'ultimo quarto di secolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Modificato da Figotto
Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
Link al commento
Condividi su altri siti

Bel topic! Complimenti Figotto! :ok: E' bello vedere che ci sono altri ragazzi che ancora hanno dei valori sinceri, e che si rendono conto dei quello che hanno attorno!

 

Da tempo mi pongo una domanda un pò particolare... io sono del Friuli Venezia Giulia, quindi abito nel nord-est, e sebbene abbia visitato le regioni del sud d'Italia, quello che ho visto è stato solo con occhi da turista, quindi non ha nulla a che vedere con l'argomento del topic.

Ma mi chiedo come mai ci sono questi problemi? Da quanto esistono? Perchè proprio è lì che sono maggiormente concentrati? La mafia e tutto quello che le ruota attorno da quanto tempo esiste?

Forse sto dicendo cose che non centrano nulla, ma se ora esiste questo problema di povertà nel meridione, in ogni libro di storia si può vedere che la cultura è nata al sud, con le città stato, la magna grecia! Era il centro del mondo quello! Avanti anni luce rispetto al resto delle popolazioni del continente!

Quando in quelle regioni è cominciato a diffondersi la povertà? Ed era forse una questione di mentalità, di idee, di cultura che ha poi messo i semi per la diffusione della mafia?

Forse è una domanda assurda, e magari non sono nemmeno stato molto chiaro, ma personalmente la ritengo interessante almeno. Può aiutare a comprendere meglio il problema forse... :rolleyes:

Modificato da Raziel86
Link al commento
Condividi su altri siti

Bel topic! Complimenti Figotto! :ok: E' bello vedere che ci sono altri ragazzi che ancora hanno dei valori sinceri, e che si rendono conto dei quello che hanno attorno!

Forse è una domanda assurda, e magari non sono nemmeno stato molto chiaro, ma personalmente la ritengo interessante almeno. Può aiutare a comprendere meglio il problema forse... :rolleyes:

 

Sono contento che piaccia anche a te questo topic, spero tu possa continuare a dare il tuo importante contributo qua dentro. :ok:

 

Le domande che hai posto non sono assolutamente assurde, anzi, forse sarebbe bene prima di tutto rispondere a queste per capire, anche se le risposte sono molto difficili da dare così su due piedi. ;)

 

Da tempo mi pongo una domanda un pò particolare... io sono del Friuli Venezia Giulia, quindi abito nel nord-est, e sebbene abbia visitato le regioni del sud d'Italia, quello che ho visto è stato solo con occhi da turista, quindi non ha nulla a che vedere con l'argomento del topic.

 

Dove sei stato?E' una domanda di curiosità. :mrgreen:

 

Ma mi chiedo come mai ci sono questi problemi?

 

Adesso Raziel non riesco a risponderti così su due piedi, è una domanda troppo complessa per darle una risposta sintetica. :ok:

 

Ti prometto che appena avrò un pò di tempo cercherò di postare del materiale storico comprovato universalmente e obiettivo a riguardo.

 

Da quanto esistono?

 

La mafia al sud esiste sicuramente da prima dell'Unità d'Italia, secondo alcuni storici addirittura dal tempo degli antichi romani, ma non aveva l'influenza territoriale e il potere militare ed economico che ha oggi e che si è radicato a causa della crescente disoccupazione e povertà post-Unità al Sud, quando tutte le fabbriche del Regno di Napoli furono spostate interamente al Nord lasciando milioni di persone senza lavoro e soldi e costringendole all'inizio del XX Secolo a migrare al nord o all'estero (questo è uno dei vergognosi scandali dell'Unità d'Italia di cui il parlamento italiano dell'epoca non si è mai occupato assecondando i piani di distruzione del sud della famiglia Savoia).

 

Prima dell'Unità d'Italia e fino al dopoguerra (quindi tra il 1800 e il 1945) i mafiosi non erano un'organizzazione ma erano chiamati "guappi".I guappi erano gli uomini più forti e d'onore di una zona-quartiere di una città ed erano occupati di far vivere bene la gente della propria zona d'influenza e risolvere i loro problemi, spesso utilizzando le maniere forti e violente degli agguati per picchiare o uccidere.

 

A Napoli, nei Quartieri Spagnoli, c'è un ristorante che si chiama " Sette Sord' " ed è uno dei più antichi della città (risale al 1870 circa).Una curiosità è il suo nome che richiama l'appellativo con cui venivano classificati i guappi dell'epoca.Infatti prima i "camorristi", gli uomini d'onore erano soliti identificarsi con il pugnale che portavano, la cui lunghezza della lama mostrava agli altri di che livello fossero.Il sette sordi era chiamato il pugnale più grande, quello che apparteneva ai più forti, ai più potenti, rispettati e temuti.Quando all'epoca questo ristorante era frequentato dai "guappi" e i loro uomini era d'obbligo che prima di sedersi al tavolo tutti dovessero lasciare il proprio pugnale conficcato in una colonna di legno vicino l'ingresso all'interno del locale, in segno di rispetto per gli altri commensali e per il gestore e per dimostrare che le intenzioni fossero soltanto quelle di mangiare e bere.

 

Da lì il nome del locale, che evidentemente era frequentato da molti guappi. :mrgreen:

 

Durante il ventennio fascista la mafia fu completamente annullata per poi ripresentarsi nel dopoguerra, con Lucky Luciano in Sicilia, periodo dal quale l'Italia usciva disastrata.Da allora non ha mai smesso di esistere, di procedere nelle sue attività, di sparare e uccidere.Ma la mafia di oggi non ha più nulla a che vedere con quella del tempo.

 

Perchè proprio è lì che sono maggiormente concentrati? La mafia e tutto quello che le ruota attorno da quanto tempo esiste?

 

Risposto in gran parte sopra.

 

Proprio qui perchè, come la storia comprova, dopo l'Unità d'Italia la schifosa classe dirigente dell'epoca derubò e depredò il sud Italia di tutti gli enormi complessi industriali, artigianali e di servizi che il Regno di Napoli avevo provveduto ad installare sul tutto il territorio meridionale per assicurare il minimo lavoro a tutti i suoi abitanti.

 

Ho dei dati dopo li posterò. :ok:

 

Intanto in rete ho trovato questo scritto del 1863 in cui si parla digli "uomini d'onore" di quel tempo. :ok:

 

Come si diventava Camorrista

 

Si narra eziandio come ne' tempi scorsi vi si unisse una specie di fantasmagoria pseudo-massonica.

I settari si assidevano intorno ad una tavola sulla quale erano po sti un pugnale, una pistola carica, un bicchier d'acqua o di vino fittiziamente avvelenato e una lancetta. Si introduceva il picciotto seguito da un barbiere tenente alla setta.

Il barbiere, il quale come tutti i suoi confratelli di Napoli, cava sangue, apriva una vena al candidato, indi si ritirava immediatamente.

 

Da questo momento il paziente prendeva il titolo di tamurro, bagnava una mano nel proprio sangue stendendola verso i camorristi, giurava di conservare fino alla morte i segreti della società, di esser sempre pronto a seguirne gli ordini con sommissione fedele.

 

Poi prendeva il pugnale e lo in figgeva sulla tavola: armava con vivacità la pistola e avvicinava il bicchiere alla sua bocca; mostrando così di esser pronto, ad un segnale del capo, a suicidarsi.

Ma il capo stendeva la mano per impedire il suicidio e abbandonando il suo posto, dopo aver ordinato al tamurro di posar il bicchiere e la pistola, facevalo inginocchiare dinanzi al pugnale.

Allora poneva la sua mano diritta sulla testa del candidato e colla sinistra scaricava in aria la pistola.

Poi, cambiando mano, poneva la sinistra sulla testa del tamurro e colla destra gettava in terra e faceva in pezzi il bicchiere, che dovea contenere una bevanda avvelenata.

Prese queste precauzioni, toglieva il pugnale dalla tavola e avendolo riposto nella sua guaina, ne faceva omaggio al nuovo compagno, che dopo essere stato abbracciato da lui si alzava e riceveva l'amplesso dagli altri che gli facevano corona.

 

Il tamurro così addiveniva camorrista e partecipava a tutti i privilegi, a tutti i benefizi della società, la sua nomina era resa nota alle diverse sezioni, e il capo diceva a tutti presentandolo "Riconoscete l'uomo!"

 

Tale era forse il cerimoniale di rigore in una certa epoca e in certe logge.

 

Ma un detenuto politico, nel quale ho piena fede e che ha assistito personalmente in una prigione al ricevimento di un camorrista, non ha veduto nè pistola, nè veleno, nè salasso, nulla insomma dello spettacolo teatrale da me riferito.

 

La società riunita avendo votato l'ammissione del candidato, il capo l'avea presentato a tutti i membri, e, fornite le prove di capacità, gli avea detto: "Fin da oggi siete nostro compagno voi parteciperete con noi ai benefici della società: sapete voi quali sono i doveri del camorrista?"

 

Il candidato avea risposto: "Li conosco; debbo fare una tirata (ossia un duello al coltello) con uno dei miei compagni, giurare d'essere fedele ai miei soci, nemico delle autorità pubbliche, non avere alcun rapporto con individui addetti alla polizia. Non denunziare i miei compagni ladri, anzi amarli più degli altri, poichè pongono la loro vita in pericolo."

 

Ciò detto il nuovo compagno avea prestato giuramento su due pugnali incrociati. Si era battuto con un fratello tratto a sorte. Avea abbracciato il capo e gli altri soci ed era stato proclamato camorrista.

Modificato da Figotto
Il Napoli.. Ti fa soffrire , Ti fa piangere , Ti fa gioire , Ti rende la persona piu' felice al mondo , Ti spezza il cuore , ma soprattutto ti fa VIVERE...
Link al commento
Condividi su altri siti

Partecipa alla conversazione

Puoi pubblicare ora e registrarti più tardi. Se hai un account, accedi ora per pubblicarlo con il tuo account.

Ospite
Rispondi a questa discussione...

×   Hai incollato il contenuto con la formattazione.   Rimuovere la formattazione

  Sono consentiti solo 75 emoticon max.

×   Il tuo collegamento è stato incorporato automaticamente.   Mostra come un collegamento

×   Il tuo contenuto precedente è stato ripristinato.   Pulisci editor

×   You cannot paste images directly. Upload or insert images from URL.


×
×
  • Crea Nuovo...