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Cronache di un cimitero


Ambro

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Miglior contributo in questa discussione

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Ho già incominciato a dire il vero 8) Ho ripreso un mio vecchio lavoro di 16 pagine che è andato perso. La storia parla di un ragazzo di circa 30 anni che ha un brutto incidente e ci lascia le penne. Viene scelto dalla Morte come suo aiutante. Due saranno i suoi compiti, accompagnare gli spiriti dei morti allo Stige e reclutare nuove anime, insomma uccidere le persone ma mai in modo diretto dovrà utilizzare il fattore Caso. Ovviamente sarà restio a quest'ultimo compito. E poi c'è la storia d'amore...

 

E non è che fa una capatina nel mio modesto cimitero? :rotfl:

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Non saprei stò riscrivendo tutto da capo cercando di rimanere fedele ad un racconto scritto 8 anni fà di cui ho un ricordo un po' vago. Ho finito il capitolo dell'addestramento e stò iniziando la prima missione...

Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui

Articolo 1 codice di Norimberga

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Più che missioni è la storia di un ragazzo innamorato che vuole tornare indietro. Tutto le avventure che "vive" sono solo per rivederla. Comunque non sono mai stato bravo a scrivere dei componimenti così lunghi spero di non scrivere una porcata.

Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui

Articolo 1 codice di Norimberga

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Aspetto a postare voglio arrivare quasi alla fine prima di pubblicare qualcosa. Nei prossimi giorni sarò molto occupato quindi non potrò dedicarci molto tempo.

Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui

Articolo 1 codice di Norimberga

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  • 3 settimane dopo...

Ammetto che potrete non capirci molto ma capirete nel successivo...

 

Giorno decimo: Arcana non movere

 

Hate dea vivisne?Aut, si a mortis revenis, dic mihi: Hector ubi est?

Non lo so signora dalle bianche braccia. Non so dove sia il tuo Ettore, non posso indicarti la strada da seguire per trovare l’impavido eroe. Non sono figlio di dea.

Mi dispiace

Non posso muovermi da qua e non posso alzarmi verso cieli infiniti. Non posso affogare nelle stelle, non posso guardare dall’alto con occhio d’aquila.

Però ho visto che gli uomini li posso guardare dall’alto della mia mortalità già consumata, e mi chiedo: perché?

Ci sono insetti che vivono non più di cinque minuti. Nascono, fanno da trampolino per la generazione successiva e muoiono.

Noi invece ci aggrappiamo a tutto ciò che sembra allungare la nostra permanenza, o almeno per evitare che il nostro ricordo svanisca.

Non possiamo scappare dalla risacca se ci ostiniamo a camminare sulla spiaggia. Nonostante tutto, non appena vediamo tornare l’onda, ci buttiamo a terra e piantiamo le mani nella sabbia sperando che questa volta l’onda ci non voglia come parte del suo tributo.

C’è chi poi si rialza e riprende a camminare e c’è chi rimane al suolo dicendo che intanto ci sarà sempre un’altra onda. Ma chi cammina è alto e la vede arrivare, mentre chi sta al suolo se n’accorge solo quando ha l’acqua che lo tocca e deve sperare che la sabbia banata non sfugga da distruggendo l’unico appiglio sicuro.

Stiamo sempre attenti a schivare gli ostacoli e le scomodità della vita. Osiamo correre su un campo minato per raggiungere…cosa? L’onda successiva?

Se riusciamo ad evitare gli ostacoli siamo fieri di averlo fatto. Abbiamo raggiunto uno dei tanti obbiettivi: la casa, la macchina, l’accessorio particolare. Speriamo sempre che serva almeno a non essere dimenticati. Pensiamo che serva per aggiungere sabbia sotto alle mani e resistere meglio all’onda dopo. Perché le onde ci colgono sempre più stanchi ma se si ha la sabbia che ci ancora si può anche resistere. Almeno provare.

Non esiste più Ettore. Nessuno più ha il coraggio di combattere per una causa persa; e di morirci.

Guardiamo persone che si scannano alla tv e lavano i panni sporchi in mondovisione. Ci prendono quel tempo che abbiamo strappato con difficoltà agli impegni e non solo. Ci prendono quel poco di indipendenza e onore che avevamo.

Eppure quando ci toccano le cose a qui teniamo siamo pronti ad alzare subito la testa.

Siamo pronti ad andare allo sbaraglio…ad affrontare immortali piè veloci sperando di colpire il tallone e ritornare con il sorriso della vittoria.

Noi morti non possiamo dire che ci interessiamo al mondo esterno...il dado è tratto…abbiamo già attraversato il Rubicone.

Al di la non c’è la città eterna che ci aspetta, ma qualcosa di eterno lo troveremo sicuramente.

Ormai noi siamo in balia delle onde e dobbiamo solo evitare di affondare prima del tempo, per il resto…si naviga alla deriva.

Siete mai stati in una sala d’attesa? Sai che stai andando, sai il perché, ma non sai le conseguenze che quella visita avrà sulla tua vita. Noi siamo in attesa ma, a differenze di una visita, non sappiamo nemmeno il perché ci stiamo andando.

Abbiamo più certezze di voi vivi ma sono certezze inutili.

Quando eravamo vivi pensavamo alla morte come a qualcosa che doveva accadere. Ma la vedevamo tanto lontano che quando ci prese non facemmo in tempo a metterla a fuoco. Vedemmo un ombra e un fiume nero. Anzi no, vedemmo il nero, quello vero….il buoi…ci sentimmo soli in balia del niente.

Franz mi disse un giorno: “Sai una cosa?Ho paura ma non so di cosa..”

“Anche io...secondo te quanto manca?”

“Quanto manca a cosa?”

“Bhè…al giudizio universale…”

“Non lo so…forse ci faranno aspettare finchè non ammetteremo da soli le nostre colpe…d’altronde apocalisse vuol dire rivelazione…”

“Andiamo va che ad aspettare c’è sempre tempo…almeno andiamo a farlo in compagnia…”

Così possiamo passare del tempo in compagnia..ma quando avremo finito le storie?

Impareremo a sentire racconti nel silenzio?

Non mi creo delle aspettative…

Io ci ho provato a descrivere cosa pensa un morto, a cosa prova, ma è difficile descrivere le emozioni di una persona che non dovrebbe provarle.

Il fastidio di essere morto. Penso spesso: “Ecco adesso che ho visto le cose da fuori potrei tornare dentro ad aggiustarle..almeno, forse, non combatterei per una causa persa, non finirei attaccato ad un carro trascinato nella polvere. Saprei come distruggere gli ostacoli, come radrizzare i torti e come..come…come…come aspettare.”

Bisogna cercare in vita di essere presenti, bisogna combattere anche per le guerre perse e cercare di far capire…

 

Non ci sono parole per lo sconforto

Di chi si ritrova morto

Di chi all’onda ha ceduto

Perché la sabbia non l’ha tenuto

Nel buio è stato trascinato

Ad attendere dove il tempo non è mai nato

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Giorno undicesimo: Flashback ammantato

 

Seduto sul marmo a fissare il vuoto, seduto sulla mia tomba a pensare al passato.

Potrei rimanere con gli occhi spalancati a fissare il nulla per ore. Ma ora non è il nulla che sto fissando. Il passato si è insinuato nei miei pensieri e io sto vivendo una seconda volta, sto vivendo fatti già avvenuti ma sempre rivivibili. Sto rivivendo ciò che fu un freddo inverno del 1995.

 

Il freddo s’insinua ovunque. Sulla strada si sentono solo i miei passi, scarpe da festa. Le nuvolette che mi escono dalla bocca sono troppo deboli perché sopravvivano ai ripetuti attacchi del vento freddo che soffia attraverso i rami, quasi volesse ammonirli di non muoversi.

Ormai anche i rumori della strada hanno rinunciato a raggiungermi e le finestre si tengono avidamente quel poco di calore che sono riuscite a preservare per i loro padroni. La luce non ha il coraggio di infilarsi nei vicoli più stretti. Dove cammino io il vicolo è illuminato da dei semplici lampioni, gli alberi delle città. Fa troppo freddo per pensare a qualcosa d’altro riesci solo a ripeterti: “Ma che freddo porca miseria…ufff…guarda qua…dovranno amputarmi i piedi…sarebbe un risparmio in scarpe….”

Mi sento osservato, giro la testa verso l’alto, ma vedo solo un lampione che fa fatica a sputare a terra quel poco di luce che manda. E’tardi gli ospiti mi aspettano e poi si freddano le castagne. Buone le castagne, cioè a me fanno schifo ma bisogna essere accomodanti con i nuovi vicini (che cacchio di musica ascoltano…lalalallaaaa.llalla…ecco mi è rimasta in testa).

Tac…tac…le scarpe sul cemento congelato fanno la loro porca figura…mi verrebbe da fermarmi e tirare fuori il portafoglio dicendo “FBI, sloggia il caso è nostro!”. In effetti, mi fermo ma per un altro motivo: un’ombra ha offuscato per un attimo la luce del lampione.

Qualcosa è caduto dal cielo, era leggero…eccone un altro..e un altro…forse è meglio guardare verso l’alto non si sa mai…magari è la gomma piuma del divano che sta per cadermi in testa.

Ma la gomma piuma non è fredda come la neve…neve!...nevica!”evvai un poco di nev- accidenti! le castagne si freddano, rischierei di offrire dei maron glacè nel senso di ghiacciati.

Corri, con le scarpe da festa…ma popi porca miseria sono in casa mia e devo tenere le scarpe?!

Raggiungi il portico e corri verso la porta di casa. Sto correndo e ragionando su di un dubbio…il mio cervello mi dice di non correre..perchè?...oh no! Le scarpe da feeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee……stamp! Attero sulle mani, tipo gambero…..per poi sedermi sulle piastrelle del portico. Fredde.

Forse e meglio rialzarsi…che strano ieri non avevo visto quel cartello.

 

”La regione ############, in associazione con l’ente turistico, il comune di ######## ecc. ecc.

Propongono agli interessati una crociera nelle americhe con il titolo di :”Dal Canada all’argentina..l’america in tuttal a sua lunghezza”.

Chiunque risulti interessato è pregato di rivolgersi allo sportello comunale appositamente creato per questa occasione.”

 

Bisogna che lo dica a mia moglie. E’ la prima volta che vedo una tale orgia di istituzioni.

Dai si! Glielo dico e poi si parte! Si vede Toronto, New York, le tracce azteche...il brasile..uahu!

Dovremmo viaggiare più spesso…ma questa città ci stritola. Lavoro, traffico, impegni, cene importanti, il freddo…il freddo!...ma perché fa così freddo?!

Salgo le scale quattro a…diciamo tre a tre….(modestia a parte sarei in grado di fare quattro a quattro)..sono affannato ma contento, l’inverno tutto sommato è bello e nevica..tanto!

Domani sarà tutto ammantato, tutto bianco, puro e silenzioso. La neve non si lascia sfidare, copre tutto ciò che ha il coraggio di fermarsi e anche no.

Pensare che da bambino..ah lasciamo perdere, dove sono le chiavi?...uf ho le mani ghiacciate…ecco queste o sono le chiavi o mi si è staccato un dito in tasca. Niente unghia, sono le chiavi!

 

Apro la porta…

”Eccomi..ehi! Nevica..ma sono riuscito a preservare tutto il calore delle casta…gn…..eee….Tesoro dove sono gli ospiti?”

“sono andati perché hanno sentito che il bambino piangeva…”

“E come? Ha telefonato…?”

“Ma no sciocco!...hanno quelle radioline per sentire se i bambini stanno bene o no.”

“Ah…vorra dire che ce le mangiamo noi le castagne…ah sai ho visto una cosa troppo bella…”

”Cosa?”

”Aspetta che mi tolgo…bello hai già pulito?...vabbè mi tolg-“

”No aspetta non è pulito hanno spanto dell’acqua alzandosi”

”Scarpeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee……….”

 

 

“EHI! Tutto bene? Ti eri incantato a guardare nel vuoto…”

“No niente, sto bene…”

”Pensavamo fossi….niente,gaffe!”

“Morto?...bhè penso di aver già superato quella fase della mai vita….”

“AHAH!..vabbè dai che domani è un altro giorno..come ieri”

”E come l’altro ieri….”

”Dai non essere così pessimista…ora ti lascio che voglio anche io stare un poco da solo…”

”Ciao Franz…”

”Ciao…”

”Franz??”

”SI?”

”Non stavo guardando nel vuoto..”

 

 

Gioco prezioso il passato

Spero non ci venga mai negato

In esso puoi ritrovare episodi perduti

Capirai se li hai veramente vissuti

Capirai che cosa vuol dire ricordare

Ora che non hai niente a cui pensare

Prendi una giornata vissuta

Ricordati se l’hai goduta

Ricordati ciò che hai fatto

Qualsiasi tuo atto

Prendi ogni tua frase, ogni tuo commento

Ripetilo fino allo sfinimento

Quando capirai

Che tu, o morto, mai ti sfinirai

Allora avrai inteso il vero significato

Della parola passato

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  • 3 settimane dopo...

Giorno dodicesimo: L’architrave

 

Una domenica di fine maggio decidemmo di usare le nostre ferie per visitare la Grecia.

In due settimane visitammo templi e scavi, musei e paesini sperduti per tornare a casa abbronzati e stanchi.

Tra i preparativi e il ritorno ci stancammo di più di un normale periodo di lavoro tanto per confermare la regola.

Ascoltammo milioni di leggende e magari qualcuna ci rimase nel cuore o nell’anima come se fossero sempre state nostre. Mi ricordo una cosa in particolare: un pomeriggio, forse era un mercoledì, dovevamo visitare un tempio sperduto nella campagna spartana. Eravamo solo noi due e mia moglie aveva deciso che avremmo pranzato al sacco sotto l’ombra di un ulivo tanto per non mangiare sempre specialità greche.

Si era un mercoledì perché rimasi sorpreso a trovare il panificio aperto, finché non mi resi conto di non essere in Italia.

Partimmo alla mattina presto per arrivare a destinazione alle dieci e poter così visitare con tutta calma il tempio e dintorni; magari saremmo riusciti nel pomeriggio a visitare Sparta anche se distava 20 chilometri dalla nostra metà. Le macerie di Sparta ci attiravano per le storie che avevamo sentito dalle persone del luogo: antichi corni che nelle notti d’inverno tornavano a suonare per fantasmagoriche adunate belliche, cozzare di spade e lance che si sentivano fino ai paesi più vicini, e canti antichi riportati allo scoperto da voci orai dissolte nella polvere dei secoli e dell’oblio.

Tutto era pronto e quando una cosa è pronta vuol dire che andrà storta…cosi fu.

Arrivammo al punto prestabilito alle undici e mezza con una fame da lupi e accalorati in maniera esagerata. Della Grecia mi ricorderò sempre il caldo, l’acqua fresca e quell’architrave che mi rimase impresso negli occhi per giorni e giorni…se li chiudevo tornavo in quella calda giornata di fine maggio; forse ancora adesso che sono morto se potessi chiudere gli occhi rivedrei quella scritta…sola e fiera di esserlo.

Quel tempio era circondato da una leggenda strana e inalterata nei secoli forse perché avevano paura di alterare anche solo una virgola di quel racconto.

Una notte mentre tutti i guerrieri spartani dormivano nei loro letti accanto alle consorti o alle schiave la terra si ruppe in un lungo crepaccio e un forte terremoto scosse le ricche case dei guerrieri che si svegliarono presi dal panico.

In quei giorni erano stati assassinati brutalmente ben dodici bambini e l’assassino non era stato ancora preso e processato; le malelingue sussurravano che in realtà il re sapesse chi era ma non osava toccarlo per la sua importanza…per la sua utilità nel gestite le folle. Un indovino torna sempre comodo ai re per motivare al popolo le sue decisioni.

I guerrieri indossarono le loro armature e si diressero, spada nel fodero, verso il punto dove la terra si era aperta in uno squarcio abissale; arrivati sul luogo videro che oltre a questa apertura non c’era nient’altro e intimoriti da tale fatto chiesero all’indovino una spiegazione. Aratnis, questo il nome dell’indovino disse che per lui si trattava di un banale terremoto dovuto a un errore di Vulcano nelle sue fornaci; ma non fece in tempo a finire la sua frase che un nero tentacolo uscì dalla crepa e lo portò nel vuoto di quell’immensa oscurità. Tutti fuggirono in prede al panico e la mattina seguente si accorsero che al posto del crepaccio era comparsa una statua con gli stesi tratti dell’indovino e intorno ad essa edificarono un tempio tutto bianco e senza decorazioni o sfarzi di sorta.

Sull’architrave del timpano incisero una sola parola che dopo più di duemila anni funge ancora da severo monito per chiunque: Alethèia…Verità!

La Verità con la V maiuscola, quella che pende per tutta la vita sulle nostre teste come una colossale spada di Damocle. Solo chi non è nato non la teme, anche i morti la temono e più dei vivi perché non possono farsi illusioni.

Un compito così difficile venne affidato a questa parola che essa stessa si indurì alle intemperie e divenne la dura verità, quella male accettata anche quando semplificherebbe le cose, quella derisa dagli stolti e appresa dai pochi, quella cercata dai saggi e scoperta dai tardi quella che sfugge dinnanzi alla vista più acuta per scoprirsi a chi non è pronto riuscendo a far perdere le sue tracce…ancora una volta.

Per millenni l’uomo ha dato la sua definizione di verità arrivando a negare l’esistenza di questa parola in senso assoluto. Non dobbiamo stupirci se ogni volta che viene narrata una storia non risulta uguale ala versione precedente, alla Verità non interessa sistemare le piccole cose ma punta a quelle grandi…all’estremo risultato delle sue azioni. Non a caso la mancanza di Verità uccide e a uccidere noi persone sono le sue banali imitazioni volute da chi non ha tempo da perdere con inutili ricerche.

Ognuno di noi porta sulla coscienza un macigno, alcune persone sono riuscite a sistemarlo in una posizione assai poco scomoda, chi non ci riesce ne viene schiacciato; ma poche persone hanno plasmato questo macigno fino a farlo assomigliare a un architrave e nessuna ha ancora graffiato tale pietra per incidere le sette lettere definitive: Alethèia.

 

 

 

Nessuno ha mai osservato il suo sfuggevole volto

Ammesso che i vigliacchi non gliel’abbian tolto

Bisogna temere le sue fugaci imitazioni

Corrose tal tempo e dalle troppe limitazioni

La verità scorre nel tempo e in esso compie il suo dovere

Per tornare ogni volta senza farsi vedere

Ma sia chiaro che il suo bersaglio non arriva mai a mancare

Non ha tempo per dover ricominciare

Se noi non riusciamo a vederla essa se ne burla e riaparte veloce

Ha sempre molte cose da fare, non arriverà mai in maniera precoce

E noi deufunti questo lo sappiamo

Perchè aspettarla dobbiamo

 

 

Alla prossima...

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